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Emilio Sirianni, le rivelazioni di Palamara: "Gratteri fascista, Minniti parac***". Gli insulti della toga che difendeva Mimmo Lucano

Alessandro Sallusti
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Pubblichiamo di seguito il capitolo "Un magistrato per amico - Mimmo Lucano e il giudice indagato perché ostacolava i colleghi" del nuovo libro intervista di Alessandro Sallusti all'ex magistrato Luca Palamara. Il volume Lobby & logge, edito da Rizzoli, è da oggi in libreria.

Proviamo a fare un punto. Abbiamo visto fin qui che le accuse contro i magistrati coinvolti nella lobby siciliana di Antonello Montante sono state archiviate sia nel procedimento penale che in quello disciplinare del Csm, che quelle a proposito della gestione del falso pentito Scarantino sulla strage di via D'Amelio sono state archiviate sul piano penale e neppure portate di fronte dal Csm, che i magistrati chiamati in causa dal faccendiere Amara per la loggia Ungheria, che si sappia, a ora non sono neppure indagati. È come se esistessero due giustizie, due codici penali, due metri di giudizio: uno vale per tutti meno che per i magistrati, l'altro solo per i magistrati. Andreotti disse: «Quando ho dovuto affrontare il mio processo ho capito perché la stupenda scritta "La legge è uguale per tutti" è alle spalle e non davanti agli occhi del giudice».
«Non mi trascini su questo terreno, sono pur sempre un magistrato - ufficialmente ex ma non per me - e oggi pure imputato. Però se vuole possiamo affrontare da dietro le quinte un'altra storia ricca di anomalie del magico mondo che ho frequentato e per anni diretto».

Siamo qui per questo.
«Ha presente il caso di Mimmo Lucano?»

Domenico Lucano detto Mimmo, perito chimico, tre volte sindaco - la prima nel 2004 - di Riace, piccolo comune della costa ionica calabrese, 1.500 abitanti più 450 tra rifugiati e immigrati che lì si sono stabiliti grazie al suo innovativo modello di accoglienza che lo ha reso un eroe della sinistra e famoso nel mondo. Modello che però non ha convinto i magistrati calabresi: nell'ottobre del 2017 è indagato per truffa nella gestione dei fondi europei, concussione e abuso d'ufficio; un anno dopo viene arrestato, ai domiciliari, per favoreggiamento dell'immigrazione attraverso anche matrimoni combinati e rilascio di carte d'identità a immigrati privi di permesso di soggiorno; nell'aprile del 2019 viene rinviato a giudizio e il 30 settembre 2021 il tribunale di Locri lo condanna a tredici anni di carcere - il doppio della pena chiesta dal pm - per associazione a delinquere, peculato, truffa, falso e abuso d'ufficio.
«Perfetto. Ma questa è storia nota, poi ne parleremo. Quella su cui voglio ragionare ora è un'altra, semisconosciuta in generale e sconosciuta in alcuni importanti dettagli che i mezzi di informazione hanno snobbato - probabilmente non a caso -, al massimo diluito dentro il clamore della sentenza shock. Parlo della storia del giudice Emilio Sirianni. Emilio Sirianni, giudice della Corte di Appello di Catanzaro. Proprio lui, è uno dei duri e puri di Magistratura democratica, la corrente di sinistra della magistratura. Di più, è un falco che sulle chat interne guida la rivolta contro Giuseppe Cascini, membro del Csm e già leader di Magistratura democratica che con me ha condiviso per anni il sistema delle correnti».

Dalle chat estratte del suo telefonino anche gli accrediti gratuiti - per il figlio - della tribuna vip della Roma all'Olimpico e la raccomandazione per il fratello minore, Francesco, anche lui magistrato.
«A Sirianni tutto questo non va giù e inizia a martellare: Cascini, ma tu facevi le stesse cose di Palamara? Ma tu eri sodale di Palamara? E via dicendo, un vero processo pubblico. Alla fine Cascini sbotta: «Tu sei come Porro e Amadori (Nicola Porro, conduttore di "Quarta Repubblica" su Rete 4, e Giacomo Amadori, cronista giudiziario della "Verità", N.d.R.) che mettono insieme il contenuto delle chat di Palamara in modo strumentale. Ma alla fine si dimette da Md lanciando un avvertimento: vorrà dire che mi dovrò astenere dal valutare il procedimento aperto al Csm su Sirianni».

Un disciplinare? Per quali fatti?
«Sirianni aveva un grosso problema, la sua amicizia con Lucano. Più che una amicizia, durante tutta l'inchiesta era diventato il suo consulente legale e politico».

Mi faccia capire. Nel tribunale di Locri c'erano dei magistrati che indagavano su Lucano e a Catanzaro un magistrato che lo difendeva?
«Non lo dico io, è tutto agli atti dell'inchiesta aperta su di lui dalla procura di Locri. A Lucano Sirianni ha redatto controdeduzioni e note difensive, suggerito il tenore delle dichiarazioni da rendere alla stampa. In una occasione gli ha scritto la replica da dare a una dichiarazione del procuratore di Locri, poi gli raccomanda di cancellare subito la mail. Ma fa ancora di più. Lo mette in guardia dal parlare al telefono, un avvertimento indiretto che lo stanno intercettando, e coinvolge in questa linea di difensore occulto anche Roberto Lucisano, suo compagno di corrente e presidente della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, uno che in teoria potrebbe essere un futuro giudice di Lucano. O almeno così gli fa credere in alcune telefonate intercettate: "Ho parlato con Lucisano, il quale mi dice che la procura di Locri sta indagando ma che su questo Magistratura democratica farà una crociata"».

A occhio ce ne è abbastanza per rimuoverlo dal suo incarico.
«Qui dobbiamo stare molto attenti a misurare le parole, o meglio a trattenerle. Per cui rimaniamo ai fatti. E i fatti dicono che la procura di Locri ha archiviato la pratica su Sirianni pur mettendo nero su bianco che "il comportamento mantenuto è stato poco consono a una persona appartenente all'ordine giudiziario, peraltro consapevole di parlare con una persona indagata"».

Non ci credo. E se devo crederci allora questo doveva valere anche per lei che parlava con l'indagato Centofanti.
«C'e una differenza abissale. Sirianni è un leader di Magistratura democratica, paladino della sinistra giudiziaria, amico e consulente dell'icona dell'accoglienza che tanto piace alla gente che piace».

Vabbè, però sul piano disciplinare il Csm avrà fatto il suo dovere.
«Assolutamente sì, lo ha prosciolto. La commissione disciplinare, il 10 luglio 2020, sentenzia che - la faccio breve - i fatti a lui imputati sono avvenuti nel privato e non in pubblico, quindi non c'e discredito per la magistratura».

Sarà, però in questa storia, e nella sentenza del Csm, mancano due tasselli.
«Questa volta il curioso sono io».

Le leggo delle intercettazioni tra Sirianni e Lucano allegate agli atti dell'inchiesta ma mai pubblicati. La prima è all'indomani di una puntata di DiMartedì in cui Giovanni Floris pone a Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, dubbi sulla fondatezza dell'inchiesta su Lucano e lui risponde laconico: «Sarei cauto, bisogna leggere bene le carte». Al telefono, Lucano sembra preoccupato delle parole di Gratteri, ma Sirianni lo rassicura: «Lascialo stare, è un fascista di merda ma soprattutto un mediocre, un mediocre e ignorante». Ce ne è anche per l'allora ministro degli Interni Marco Minniti, che in Calabria è una autorità assoluta. Per la sua politica rigida sull'immigrazione viene definito da Sirianni «uno pseudo comunista burocrate che ha leccato il c**o a D'Alema per tutta la vita».
«Strano che l'integrale di queste intercettazioni non sia mai uscito sui giornali, e ancora più strano che non siano mai arrivate al Csm, e non penso che sia stato un disguido delle poste. Penso che quelle frasi gravemente scorrette nei confronti di importanti magistrati e politici avrebbero creato dei grattacapi non solo a lui ma a tutta la sinistra giudiziaria. Oltre che ai tanti fan di sinistra di Lucano, quindi meglio era, ed è, lasciare quei verbali nel cassetto delle procure e dei giornali».

Ma esiste un'altra intercettazione, il secondo tassello di cui parlavo, che è caduta nell'oblio. È quella in cui il magistrato Sirianni ammette che chi è convintamente magistrato di Magistratura democratica non deve applicare la legge, ma interpretarla. Eccola integrale. Dice Sirianni a Lucano: «Io parto da un altro presupposto, io non credo che siamo tutti in malafede, i magistrati. La realtà è un'altra: purtroppo questi giovani magistrati sono dei ragazzi che sono cresciuti con la televisione di Berlusconi, non hanno una conoscenza della realtà sociale, non hanno una empatia politica con quello che gli succede attorno. Specialmente quelli che vengono in Calabria non sanno un cazzo della Calabria, quindi spesso e volentieri la maggior parte rimane così. Quelli che cominciano a capire quello che gli succede intorno ci mettono tempo. Questo è il sistema purtroppo. Queste sono persone che hanno studiato e che hanno vinto un concorso. Su cento di loro, uno forse ha la sensibilità sociale e politica. Tutti gli altri sono ragazzi di famiglie benestanti che hanno studiato. C'è una scarsa [...] modello di magistrato, cioè esattamente quello su cui è nata Magistratura democratica. Magistratura democratica è nata con una cultura della corporazione, dicendo: noi non siamo giudici imparziali, o meglio noi non siamo indifferenti, noi siamo di parte, siamo dalla parte, siamo dalla parte del più debole, perché questo è scritto nella Costituzione, non perché questa è una rivoluzione».
«In questa intercettazione - che utilizza un linguaggio che, posso immaginare, un insigne giurista come Zagrebelsky avrebbe definito lingua sporca -, c'e tutto quello che ho vissuto nei miei undici anni alla guida del Sistema che ha governato la politica giudiziaria. L'egemonia culturale di sinistra che sovrastala Costituzione, la partigianeria che interpreta la legge. Per me Sirianni non è una eccezione, ma rappresenta il comune sentire di una parte molto importante della magistratura. È la norma. È il motivo per cui quando il procuratore di Viterbo, un collega sardo - come abbiamo raccontato nel Sistema -, mi interpella molto scettico sulla posizione particolarmente dura dell'Associazione nazionale magistrati e del Csm nei confronti di Salvini che da ministro degli Interni stava bloccando i nostri porti alle navi cariche di immigrati, io gli rispondo: "Hai ragione, ma bisogna fare così". Io non volevo dare un giudizio, nel mio ruolo di leader per stare in piedi dovevo assecondare la pancia della magistratura che era, e ancora e, quella esplicitata da Sirianni nella intercettazione che mi ha letto».

Vabbè, ma allora vale tutto.
«Non siamo di fronte a dei pazzi, a delle mele marce. No, sull'immigrazione, e non solo su quello, ma certo sull'immigrazione c'e un indirizzo politico giudiziario che ha ben espresso Riccardo De Vito, presidente di Magistratura democratica: "È semplice, gli scafisti" disse in una intervista del 5 agosto 2017 al Manifesto, "sono l'unico vettore al quale possono affidarsi in mancanza di canali legali di ingresso. Ma non sono gli scafisti che li trascinano in mare, sono loro che fuggono da immani tragedie"».

Per la verità Riccardo De Vito è più famoso per altre storie. È il magistrato che nel 2020, interpretando in maniera estensiva una circolare del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sull'emergenza Covid, ordinò la scarcerazione del boss Pasquale Zagaria, suscitando un vespaio di polemiche, e che nel 2021 fu trasferito dal Csm con procedura d'urgenza dalla sua sede a Nuoro, per incompatibilità ambientale, dopo l'intercettazione di una sua telefonata con una avvocata locale che era sotto inchiesta con tanto di trojan nel telefonino - intercettazione di cui, essendoci in mezzo un magistrato, non è mai stato reso noto il contenuto.
«Tutto vero, però torniamo al punto, quello di Lucano, che non riguarda solo i magistrati ma anche il suo mondo. Glielo dico chiaro. Io mi auguro che Mimmo Lucano riesca a chiarire nei successivi gradi di giudizio la sua posizione processuale, e pur stimando quei giudici di Locri credo che infliggere una condanna a tredici anni sia eccessivo, una enormità. Anche io credo che tredici anni a Lucano siano tanti. O meglio, pur nel pieno rispetto delle motivazioni dei giudici di Locri, depositate il 17 dicembre del 2021, non mi spiego una pena così alta viste le imputazioni contestate e il contesto nel quale le condotte dello stesso Lucano si sono verificate».

E quindi chi gliel'ha tirata così dura a Lucano? Può essere che una condanna così pesante sia la conseguenza di un braccio di ferro tra correnti della magistratura?
«Mi rifaccio alla mia esperienza: il tema dell'immigrazione implica inevitabilmente delle opzioni politiche da parte di chi e chiamato a giudicare, ma certo l'interferenza di Sirianni può essere stato l'innesco».

In ogni caso, per lei è una sentenza inquinata.
«Per rimanere dalle sue parti, Sallusti, lo ha sostenuto anche Vittorio Feltri, uno intellettualmente onesto. Io non dico che è una sentenza inquinata ma una sentenza che ha fatto molto discutere per l'enormità della pena. Ma è una enormità non inferiore ai 750 milioni circa di risarcimento a De Benedetti che il giudice Mesiano del tribunale di Milano ha inflitto a Silvio Berlusconi nella causa del lodo Mondadori. Come già le ho detto nella conversazione all'origine del libro precedente, quella sentenza venne emessa quando ero presidente dell'Anm e di quella enormità si discusse vivacemente all'interno della magistratura. Sia sotto il profilo del calcolo del danno - tanto è vero che quella cifra venne poi ridotta nel giudizio di appello -, che sotto quello della mancata revocazione della sentenza della corte d'appello di Roma del 24 gennaio 1991, che annullava il lodo in questione. Decisione rispetto alla quale, peraltro, gli altri due giudici della corte d'appello componenti il collegio avevano confermato di non aver subito alcuna interferenza. Solo che Berlusconi, a parte lei e pochi altri, è stato lasciato solo, anzi c'e stata un'esultanza generale, mentre dopo la condanna a Lucano sono scesi in campo intellettuali e giornalisti solitamente posizionati senza se e senza ma al fianco della magistratura. Anche l'enormità, l'anomalia di una sentenza dipende da chi è la vittima».

Il 2 ottobre 2021, dopo la sentenza che condanna a tredici anni Mimmo Lucano, Eugenio Mazzarella, filosofo e poeta nonché deputato del Pd, lancia un appello - e una raccolta di fondi - in difesa dell'ex sindaco di Riace e contro la sentenza. Appello sottoscritto da decine di intellettuali, scrittori e giornalisti di sinistra.
«Tutta gente che conosco bene, erano i miei migliori alleati quando si trattava di impedire la riforma della giustizia e appoggiare i processi sommari alle abitudini private di Berlusconi. Io so come vengono organizzate queste cose, ho fatto parte di quel mondo ed ero anche riverito, e non importa se oggimoltissimi hanno preso ipocritamente le distanze. Li ho usati, mi hanno usato, fanno i rivoluzionari ma sono parte fondamentale del Sistema che abbiamo portato allo scoperto. Un sistema in cui ognuno gioca la sua parte. Anche persone che, come racconteremo adesso, non ti aspetteresti mai di incontrare lì».

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