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Sabino Cassese, "gli effetti del referendum giustizia": la profezia che terrorizza il Pd

Francesco Specchia
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Convinto probabilmente che - come diceva Lord Mansfield, tra i padri della common law, il diritto anglosassone - la giustizia in ritardo sia quella più ingiusta; persuaso che il Csm debba darsi una regolata; fermo nella convinzione che i quesiti al popolo siano uno strumento facilitatore, Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e faro della cosa pubblica, riguardo i prossimi referendum per la giustizia resta un ottimista con riserva.

Caro professore, Lei è sempre dell'idea che i referendum non siano lo strumento adatto per riformare la giustizia, ma restano comunque una scelta da condividere?
«I referendum sono uno strumento semplificato di intervento nella normazione, sia perché sono soltanto di tipo abrogativo, e quindi possono solo creare vuoti nell'ordinamento, sia perché si prestano solo a due risposte, sì o no. Tuttavia, in questo caso, bisogna tener conto di due ulteriori aspetti. Uno è quello della scelta dei tempi. Il Senato dovrà pronunciarsi sulla riforma Cartabia immediatamente dopo lo svolgimento del referendum. Quindi, questa consultazione potrà avere una funzione sollecitatoria o, in caso di inerzia parlamentare, sostitutiva. In secondo luogo, al di là dei singoli quesiti, i referendum hanno anche una valenza di carattere più generale e possono prestarsi anche ad una sorta di dichiarazione di fiducia o sfiducia, come dimostrato dai due referendum più importanti, quello del 2006 e quello del 2016».

I quesiti proposti riguardano l'abrogazione della legge Severino, la limitazione della custodia cautelare, la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, la valutazione dei magistrati, quello sulle firme per candidarsi al Csm. Lei si ritrova d'accordo con tutti e cinque? Cosa poteva essere fatto meglio?
«Credo che sia poco utile discutere ora della formulazione dei quesiti referendari. Bisogna ricordare che, in questo caso, democrazia rappresentativa e democrazia diretta sono andati di pari passo, nel senso che si stanno svolgendo procedure di riforma della giustizia in sede parlamentare, contemporaneamente alla procedura referendaria. Non è la prima volta che questo accade in Italia e l'alternarsi di decisioni popolari e di decisioni parlamentari può essere anche considerato un fatto positivo, che arricchisce la qualità e la ricchezza della democrazia italiana».


I promotori del "no" l'hanno attaccata per la sua idea sulla riforma del Csm e soprattutto sui Consigli giudiziari. In effetti lei detto che oggi i magistrati hanno «un'idea di giustizia non correlata alla domanda sociale»...
«Che vi sia una scissione tra domanda e offerta di giustizia mi pare indubbio. Lo dimostrano i sei milioni di cause pendenti; i più di 7 anni necessari per concludere i tre gradi di giudizio in sede civile e i più di tre anni necessari per concludere una controversia in sede penale; la fiducia dei cittadini nella giustizia, in costante calo negli ultimi 20 anni; in generale, la lentezza della giustizia italiana e il ruolo assunto dalle procure come controllori della virtù e della morale invece che del diritto; le troppo frequenti manifestazioni di malcostume nell'ordine giudiziario».

L'Agcom ha decretato che, sui referendum, la Rai e i mezzi di stampa e tv spiccano per un silenzio imbarazzante, contrario al servizio pubblico, e così sanzionabile. Che ne pensa? Non trova strano, poi, che comici come la Littizzetto -che non sono esattamente membri della Consulta- spingano in diretta tv i cittadini "a andare al mare" come Craxi?
«Due punti sono chiari. Il primo è che ciascuno è libero di esprimere il proprio giudizio, con un sì o con un no. Il secondo è che partecipare alla votazione è un dovere civico. Chi si lamenta della fragilità della democrazia italiana non può astenersi dal voto, perché collabora a renderla più fragile. La democrazia è innanzitutto partecipazione dei cittadini alle decisioni collettive, specialmente se le decisioni collettive hanno tanta rilevanza come i prossimi referendum sulla giustizia e sulle modalità di esercizio del potere di ultima istanza, che è quello rimesso ai giudici: sono loro, infatti, che possono privare della proprietà e della libertà le persone».


D'altra parte non c'è forse - e continua ad esserci- un abuso dei referendum abrogativi? Negli ultimi 50 anni ne sono stati proposti ben 666, votati solo 73, come ribadito in un libro recente dal suo collega Andrea Morrone...
«Non ho ancora letto questo recentissimo, importante libro di Morrone, professore di diritto costituzionale all'università di Bologna, dedicato all'analisi completa del vicenda referendaria nell'Italia repubblicana, intitolato, più precisamente La Repubblica dei referendum. Una storia costituzionale e politica (1946 - 2022) edito da Il Mulino. Tuttavia, la mia impressione è che il divario tra referendum proposti e referendum votati è anche un segno d'insoddisfazione della popolazione nei confronti dell'attività parlamentare: il Parlamento dovrebbe fare una riflessione e un bilancio dell'efficacia della sua funzione legislativa».

Per dirla tutta, professore: erano proprio necessari questi referendum con la riforma della Giustizia Cartabia "alle porte"; o servono proprio per dare una scossa ad una riforma - dicono in molti - annacquata?
«Come le ho detto prima, la funzione sollecitatoria di questi referendum è particolarmente importante. Penso che gli stessi proponenti fossero convinti della necessità di procedere per via parlamentare, ma nello stesso tempo sfiduciati sulla possibilità di una decisione sollecita in quella sede».

Si raggiungerà il quorum?
«Non ho capacità divinatorie e quindi non so risponderle. Tuttavia, penso che gli effetti di questo referendum si faranno sentire anche se non scattasse il quorum richiesto perla validità della consultazione. Infatti, il Parlamento non potrebbe non tener conto della partecipazione e degli orientamenti espressi, oltre ai moltissimi altri indizi che mostrano la necessità di una profonda revisione dell'assetto della giustizia in Italia».

Lei aveva previsto il fallimento dello sciopero dei magistrati e l'ha considerato "un atto suicida". In effetti, da un rapporto del Consiglio d'Europa in Italia solo 1 cittadino su 3 ha fiducia nella magistratura. Dopo lo sciopero cosa può cambiare nel rapporto toghe-cittadini?
«Lo sciopero è stato un atto di orgoglio di una larga minoranza dei magistrati, purtroppo convinti che l'ordine giudiziario sia uno Stato nello Stato e che debba autoregolarsi. Quindi, una sorta di rifiuto della capacità di rappresentanza del Parlamento».

Lei è anche considerato uno dei massimi esperti di pubblica amministrazione. Com' è lo stato dell'arte dei concorsi, delle assunzioni? Giulio Tremonti parla di "tre formidabili cerchi di burocrazia, dall'europeo a quello dello Stato e delle amministrazioni locali" che stanno bloccando tutto nonostante gli sforzi del Pnrr...
«In Italia c'è un endemico rifiuto di procedure comparative e concorrenziali, dai concorsi per assumere persone nella funzione pubblica alle gare per l'esecuzione di lavori pubblici o l'acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione. Questo comporta la pretesa di mantenere per sempre le posizioni acquisite o di avere accessi privilegiati, il rifiuto del principio del merito, la sfiducia nell'imparzialità di chi è chiamato a selezionare. È l'immagine di un paese corporativo che rifiuta di accettare le comparazioni».

Siamo all'ennesimo tentativo di riproporre una nuova legge elettorale (anche Letta pare abbia lascito l'idea del maggioritario per il proporzionale, evitando l'abbraccio col m5s). È opportuno riparlarne adesso, specie in un periodo di guerra dove ci sono altre priorità?
«Mi sembra un esercizio teorico, perché non vedo né tempi né maggioranze che possano portare ad una revisione nella formula elettorale vigente».

Lei, sul Corriere della Sera, ha massacrato il piccolo orizzonte elettorale dei partiti privi di ideologie, guida e rispettabilità. La presenza di un governo tecnico Draghi così forte (anche, dicono, forse, dopo le elezioni) dovrebbe essere da stimolo alla rivoluzione dei partiti da lei auspicata, o può diventarne un alibi per l'inerzia degli stessi?
«È uno stimolo, per due motivi. In primo luogo, perché indica i problemi e le difficoltà da superare, mentre i partiti battibeccano. In secondo luogo, perché rappresenta una sfida alla capacità rappresentativa dei partiti».

Le sanzioni contro la Russia funzioneranno? Cosa ne pensa di questo forte filoputinismo che si sta formano in Italia, che ignora paradossalmente i principi stessi di libertà e stato di diritto? «Le sanzioni, che sarebbe meglio chiamare ritorsioni, o, secondo la terminologia dell'Organizzazione mondiale del commercio, "retaliatory measures", stanno funzionando e funzioneranno ancora di più nei prossimi mesi. L'atteggiamento al quale lei fa riferimento è un misto di idee pacifiste e di egoismo nazionalistico. Dimentica quanti cittadini americani e inglesi hanno perduto la loro vita per liberare l'Italia dal nazismo e dal fascismo poco più di 70 anni fa».

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