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Luca Palamara, ribaltone in Procura: perché cambia la storia

Paolo Ferrari
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Il Palamaragate è finito in una bolla di sapone. Lo scandalo che ha travolto la magistratura italiana si è chiuso ieri con il patteggia mento di Luca Palamara, potente expresidente dell'Associazione nazionale magistrati, ad un anno e quattro mesi per traffico d'influenze, reato quanto mai evanescente che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha intenzione di abolire a breve. Era il 29 maggio del 2019 quando il quotidiano Repubblica aprì a tutta pagina con «Corruzione al Csm», ipotizzando mazzette e regalie varie che sarebbero girate per pilotare le nomine delle toghe.

Al centro di quello che poi diventerà per tutti il “Sistema” ci sarebbe stato Palamara, ritenuto dalla Procura di Perugia il catalizzatore delle tangenti. I pm umbri gli contestarono inizialmente la «corruzione propria per atto contrario» per avere ricevuto 40mila euro per la nomina del pm Giancarlo Longo a procuratore di Gela, e la «corruzione in atti giudiziari» per avere ricevuto dal faccendiere Fabrizio Centofanti e dagli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore un anello del valore di 2mila euro, oltre a viaggi e vacanze. Palamara, anche a seguito del clamore mediatico, venne sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e quindi radiato per ignominia dopo un processo disciplinare durato poco più di un mese.

 

BOLLA DI SAPONE
Terminate le indagini, dove era stato utilizzato dal Gico della Guardia di finanza anche il trojan, strumento investigativo normalmente impiegato per la caccia ai mafiosi, la Procura modificò il tiro, cancellando la mazzetta da 40 mila e lasciando solo i viaggi e le vacanze, ricevuti da Palamara «per l’esercizio delle funzioni svolte» da Centofanti. Sparirono Amara e Calafiore i quali avrebbero dovuto essere il motore della corruzione, essendo Centofanti un intermediario.

Alla prima udienza preliminare, a novembre 2020, si cambiò ancora. Rimase la corruzione per l’esercizio della funzione ma si specificò che le utilità Palamara le avrebbe ricevute quale “membro” del Csm «per l’esercizio delle funzioni svolte all’interno di tale organo quali, fra le altre, nomine di dirigenti degli uffici e procedimenti disciplinari».
Trascorse qualche mese e si tornò al passato. Le utilità erano ricevute da Palamara «prima quale sostituto della Procura di Roma ed esponente di spicco dell’Anm fino al settembre 2014, successivamente quale componente del Csm» per attività che andavano dall’acquisizione di «informazioni riservate sui procedimenti in corso» a carico di Centofanti ma anche di Amara e Calafiore (che però non risultano imputati) e per la solità disponibilità ad influenzare le nomine del Csm e i procedimenti disciplinari.

 

Nei mesi scorsi è arrivata l’ultima modifica: i pm umbri «viste le dichiarazioni di Centofanti» ritenute «prevalenti» su quelle fatte da Amara e che avevano determinato la quarta modifica, erano ritornati all’ipotesi della corruzione per l’esercizio della funzione. In particolare, “l’esercizio della funzione” consisteva nel permettere a Centofanti di «partecipare ad incontri pubblici e riservati cui presenziavano magistrati e consiglieri del Csm nei quali si pianificavano nomine», manifestando Palamara disponibilità ad acquisire «informazioni anche riservate sui procedimenti che coinvolgevano Centofanti, Amara e Calafiore». A ciò si aggiungeva la disponibilità di Palamara «di accogliere richieste del Centofanti finalizzate ad influenzare... nomine del Csm e decisioni della sezione disciplinare».

COLPO DI SCENA
Ieri il colpo di scena: sparisce la corruzione in tutte le salse e compare il traffico di influenze, banalmente la “raccomandazione”. Ma sarebbe stato sufficiente leggere nel 2021 il libro Il Sistema, scritto da Palamara con Alessandro Sallusti, per arrivare a questa conclusione. «Non ho mai venduto la mia funzione e mai avrei tradito il giuramento fatto al momento del mio ingresso nella magistratura», ha commentato Palamara. «Sono definitivamente cadute tutte le accuse di corruzione mosse nei miei confronti e ho così deciso di liberarmi dal peso dei processi senza l’ammissione di alcuna forma di mia colpevolezza ma esclusivamente per ragioni personali e processuali», ha quindi aggiunto l’ex toga.

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