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Iolanda Apostolico, Senaldi: simbolo di un sistema che non si riesce a cambiare

Pietro Senaldi
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Dobbiamo aumentargli lo stipendio, altrimenti ci arrestano tutti» sentenziava Flaminio Piccoli, segretario della Democrazia Cristiana oltre quarant’anni fa, in merito alle rivendicazioni salariali dei magistrati. Finì che qualcuno fu arrestato comunque, e in ogni caso fu posta fine per via giudiziaria allo Scudo Crociato. Il che non ha impedito ai magistrati di riempirsi le tasche grazie a inesorabili aumenti di stipendi e adeguamenti all’inflazione concessi dalla politica, che non solo hanno reso i giudici i dipendenti pubblici più pagati della Repubblica, ma li hanno di fatto parificati ai parlamentari. Con la differenza che loro, le toghe, diversamente dagli eletti non scadono mai.

In nome dell’indipendenza della magistratura poi, che nei fatti si traduce in impunità per ogni errore e impermeabilità alla coscienza nazionale, la casta è di fatto irriformabile, alla faccia del malfunzionamento della giustizia. L’esecutivo non si può azzardare a decretare perché le toghe lo farebbero cadere con inchieste mirate. Ma pure i parlamentari si guardano bene dall’intervenire; quelli di centrodestra per evitare persecuzioni tribunalizie, quelli di sinistra per lo stesso motivo, oltre che per il fatto che dovrebbero spiegare ai propri elettori che il giustizialismo eredità di Berlinguer era un’arma per arrivare al potere, non un accessorio della superiorità morale.

 

 

 

Sta di fatto che abbiamo attraversato tre Repubbliche e siamo all’alba della quarta, abbiamo cambiato sistema di voto quasi a ogni elezione negli ultimi trent’anni. Abbiamo visto perfino una donna che arriva dal Movimento Sociale arrivare a Palazzo Chigi, fatto due o tre riforme federaliste e modificato la scuola a ogni esecutivo, privatizzato, pubblicizzato e poi ri-privatizzato grandi aziende.

«La giustizia però non l’ha mai toccata nessuno, malgrado i primi a lamentarsi del suo funzionamento siano i magistrati, a ogni inizio di anno giudiziario. Indifferenti a tutto fuorché ai propri privilegi, questi sono i giudici, e la cronaca ne dà conferma ogni giorno. Prendiamo la dottoressa Iolanda Apostolico, che ha vanificato con le sue sentenze un provvedimento del governo sulla lotta all’immigrazione illegale ed è balzata agli onori della cronaca per diversi video che la riprendono quando, cinque anni fa, al seguito del suo compagno militante di Potere al Popolo, manifestava contro il governo Conte e il ministro Salvini, reo di opporsi allo sbarco di oltre cento clandestini tratti in salvo dalla nave Diciotti, della Guardia Costiera. «Assassini, assassini», urlavano rivolti alle autorità i compagni d’avventura della signora.

 

 

 

Da più parti, dall’ex magistrato e presidente della Camera, Luciano Violante, all’ex magistrato e attuale Guardasigilli, Carlo Nordio, fino ad autorevoli commentatori di simpatie progressiste come Paolo Mieli e Claudio Cerasa, si sono levate voci sull’inopportunità del comportamento della Iolanda, che pretende di giudicare su argomenti sui quali ha fatto propaganda e militanza politica. Sorda a questi autorevoli inviti, che argomentavano come non stia bene che un potere dello Stato scenda in piazza contro un altro, la Apostolico, dopo aver dato spiegazioni improbabili in merito alla sua partecipazione al corteo anti-governo («ero lì per evitare scontri»; ma quello è compito della polizia, contro cui i suoi compagni si scagliavano), si appresta a emettere nuovi verdetti sull’opportunità che i clandestini siano trattenuti, come stabilito dal decreto Cutro. E, c’è da scommetterci, li libererà, come già ha fatto. «Il governo fa dossieraggio sulle toghe rosse», «non ci si può impicciare della vita privata altrui»: sono le difese che stampa e magistratura hanno fatto della signora, fingendo di ignorare che sfilare non è scelta personale ma atto politico e pubblico e che riprendere i cortei è tra i compiti delle forze dell’ordine.
È la casta che non vuol riformarsi e, per conservare i propri privilegi, arriva a perdere credibilità agli occhi della nazione, come testimonia il sondaggio di Analisi Politiche che pubblichiamo nella pagina a fianco. Affidare una sentenza alla Apostolico sugli immigrati equivale a far arbitrare il derby a un tifoso della curva Nord, o Sud: nel caso fischi un rigore per la sua squadra favorita, chi non dubiterebbe della decisione a prescindere?

Ma non c’è speranza che le toghe si rendano conto di quanto il loro operato le screditi. Se così fosse, non sarebbe mai accaduto quel che invece è capitato a Genova, con il vicepresidente del Consiglio regionale finito tra le carte di un’inchiesta su festini con prostitute e droga. L’uomo è indagato? Niente affatto, ha una colpa peggiore: è di centrodestra e allora lo sputtanamento è d’obbligo. Perché, per come ragiona vostro onore, riprendere una toga che manifesta in pubblico vìola la privacy però essere dato in pasto all’opinione pubblica anche se non sei neppure indagato è diritto di informazione. Ma certo sarà un caso, il giudice che lo ha fatto non ha espunto il nome del vicepresidente per sbaglio non per dolo.


Un errore che, c’è da starne certi, non pagherà. A proposito, non era stata fatta una riforma sulle intercettazioni e sulle informazioni che è opportuno o no allegare agli atti di un’inchiesta? Già, le poche volte che si fanno le riforme in tema di giustizia, poi si trova il modo di non applicarle; sempre per rispettare lo spirito supremo della legge. Viva la Costituzione, che ci ha dato la tripartizione dei poteri ma non ha impedito che uno finisse per dominare sugli altri. 

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