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Giustizia, stop alla pubblicazione delle ordinanze d'arresto: così si tutelano le persone

Pieremilio Sammarco*
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Con il divieto di pubblicazione dell’ordinanza cautelare si rafforza il principio di presunzione di innocenza. Con l’approvazione da parte della Camera dei Deputati dell’emendamento che vieta la pubblicazione in tutto o in parte dell’ordinanza di custodia cautelare finché non si siano concluse le indagini preliminari, si compie un primo significativo passo verso il rafforzamento del principio di presunzione di innocenza quale diritto fondamentale della persona.

Esso viene consolidato, valorizzato e tenuto in grande considerazione per evitare che sin dalle prime fuoriuscite di informazioni sul processo giudiziario diffuse al grande pubblico possano sorgere sistematiche violazioni della dignità della persona.

 

 

Si eregge così un argine contro la deriva colpevolista che il processo mediatico ontologicamente genera nel pubblico, desideroso, per soddisfare un suo continuo e ancestrale bisogno di sicurezza, di assistere a una punizione di un membro della sua comunità. In passato troppe volte è stata disattesa l’esigenza di una informazione sull’indagine in corso quanto più possibile neutra, priva cioè di coloriture colpevoliste con l’emissione da parte della magistratura delle misure cautelari personali nei confronti dell’indagato. E proprio la misura più afflittiva, quella della carcerazione preventiva, si pone in netta contrapposizione con il principio della presunzione di innocenza e genera, soprattutto per chi non è avvezzo a norme e codicilli, la convinzione di una colpevolezza già accertata dall’autorità giudiziaria.

La tensione costante tra misure cautelari ante iudicatum e presunzione di innocenza costituisce il perno centrale su cui si fonda e si alimenta il processo mediatico, poiché la carcerazione preventiva non viene percepita dal pubblico come una necessità funzionale propria della celebrazione del processo giudiziario e del risultato finale a cui esso naturalmente tende. Sono note le argomentazioni della Corte Costituzionale secondo cui il rigoroso rispetto della presunzione di non colpevolezza necessariamente comporta che la detenzione preventiva in nessun caso possa avere la funzione di anticipare la pena da infliggersi solo dopo l’accertamento della colpevolezza.

 

 

Ma ciò che viene compreso dal pubblico, bersagliato incessantemente da colorite e suggestive informazioni da parte dei media su questa o quella indagine in corso, è una condanna sociale e giudiziaria già comminata (e senza appello), anche perché la stessa Corte Costituzionale ricorda che la condizione di non colpevole non può identificarsi con quella di innocente, dando adito a quel sospetto che genera la diffidenza collettiva verso il malcapitato e che ne compromette irrimediabilmente la reputazione e la dignità personale. Sembra improprio dunque parlare di funerale della libertà di stampa, la quale, alla conclusione delle indagini, avrà modo di informare nel dettaglio la collettività, ma di rafforzamento della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo.

*Professore Ordinario di Diritto Comparato

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