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Avvocati in ritirata, troppi e mal pagati: quanti "fuggono" dalla professione

Claudia Osmetti
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Quello dell’avvocato non è più un lavoro che attira. Calano, infatti, i legali che si iscrivono all’albo di categoria, ma calano anche le immatricolazioni a Giurisprudenza e perfino i candidati per l’esame di abilitazione. È una fotografia fatta di numeri, ma è anche una fotografia piena di storie, di giovani che al codice civile preferiscono (oramai) il posto fisso, di praticanti che praticamente non praticano più. Stipendi bassi, all’inizio quasi inesistenti, il colpo di coda del Covid, il “mercato” saturo. E alla fine ci ritroviamo così.

Come nel foro di Firenze, dove nella bacheca del tribunale trovi una sfilza di annunci che fino a dieci anni fa non avresti manco pensato: aaa, collaboratori cercansi. È un po’ il cambio dei tempi, è un po’ che di possibilità (reali) ne son rimaste poche, è un po’ che in Toscana, per esempio, nel 2013 avevano provato l’esame professionale in 1.351 e l’anno scorso l’han sostenuto in meno di 400. «Oggi si cerca una stabilità diversa», conferma Paolo Assirelli, che è il segretario del sindacato degli avvocati fiorentino, «questa professione non è più appetibile».

E non solo sull’Arno. Succede lo stesso a Milano, succede lo stesso a Roma, succede lo stesso in mezza Italia dove da una parte si registra una sforbiciata sugli iscritti all’albo, tra penalisti e civilisti e quel che è (secondo l’ultimo rapporto del Censis, il Centro di ricerca socio-economica italiana, nel 2022 i nuovi avvocati sono stati 8.257, però quelli che si sono cancellati dalle liste son stati 8.698: quindi con un saldo negativo per 441 unità), e dall’altra crollano pure gli studenti delle facoltà di Legge.

 

 

Negli ultimi anni atenei e aule magne hanno dovuto fare i conti su un ammanco di circa 120mila universitari, tanto per capirci: se nel 2000, in tutto il Paese, sceglievano le dispense di diritto internazionale, come per altro chi scrive, in 265.509 neo-diplomati, l’anno scorso han fatto lo stesso appena in 143.371, con una perdita annua intorno al 13%. Non è detto, poi, che con la corona d’alloro in testa, un laureato in costituzionale o in legislazione del lavoro scelga di proseguire sulla strada del tribunale. Anzi.

PIÙ LEGALI CHE PANETTIERI
Molto più spesso si opta per un altro impiego, magari più sicuro, magari in un ambito diverso: Giurisprudenza come forma mentis, sì quella funziona, tutto sommato, ancora, ma giusto quella. Non si tratta di un fenomeno nato adesso, è già da qualche anno che la china è la stessa: e le ragioni sono tra le più svariate. Anzitutto vale il discorso che in Italia esistono più avvocati che panettieri, e non è un modo di dire: gli avvocati iscritti all’albo di categoria sono poco più di 240mila (tra loro ci sono anche 14.506 professionisti pensionati contribuenti, cioè legali già in pensione che però qualche causa la seguono ancora), le attività di panetteria e di pasticceria dello Stivale sono appena 31mila.

A conti fatti, seguendo banalissime logiche economiche, conviene aprire un forno per le focacce che uno studio legale. Che costa, e costa parecchio e, almeno all’inizio, guadagna una miseria. Stime precise restano impossibili da fare perché ci sono molti fattori da considerare (il luogo, per cominciare, la tipologia di servizio, l’anzianità), ma su per giù si potrebbe dire che un avvocato con dieci annidi carriera alle spalle riesce a mettere assieme circa 35mila euro all’anno, chi si è appena laureato e sta “testando il terreno” se la deve cavare con massimo 800 euro al mese. Un portafoglio, non bastasse, che si è assottigliato con la pandemia, con perdite medie anche del 6%, e che pesa molto di più sulle donne (nel senso che un avvocato donna conta, in media, su ricavi per 23.576 euro all’anno, mentre i colleghi maschi arrivano a sfiorare i 51mila). Chi resiste con la toga appesa al gancio dietro la porta dell’ufficio non fa mistero del fatto che tra le maggiori difficoltà c’è proprio quella di farsi pagare: è bene ricordare che i consulti, anche se non portano a una denuncia o all’apertura di un fascicolo, gratis non sono, per la semplice ragione che il lavoro, in quanto tale, e le competenze acquisite per svolgerlo, non lo possono essere.

 



SITUAZIONE CRITICA
Non è un caso, con queste premesse, che, e lo rileva ancora il Censis, il 28,4 dei giovani avvocati ritenga “molto critica” la propria situazione lavorativa e che addirittura il 32,8% (che quindi riguarda oltre tre professionisti su dieci) non nasconde il fatto che quell’idea, impensabile anche solo qualche decennio fa, quando dicevi “avvocato” e tutti si zittivano, di cambiare mestiere e di provare alternative alla difesa in giudizio, sia sulla scrivania. Proprio lì, accanto al compendio di procedura e al manuale di diritto societario.

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