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Aldo Spinelli ha dato più soldi al Pd che a Giovanni Toti

Pietro Senaldi
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Aldo Spinelli? Avrebbe dato più soldi a Claudio Burlando, l’ex governatore dem della Liguria, e al Pd che a Giovanni Totti, attualmente agli arresti domiciliari perché accusato di corruzione. È un atto di straordinario coraggio e onestà intellettuale quello di Simone D’Angelo, segretario provinciale a Genova del partito di Elly Schlein. Dagli studi televisivi di Telenord, in via XX Settembre, con vista su piazza Luigi Ferraris e il Palazzo della Regione, il giovane dirigente del partito parla a cuore aperto al direttore dell’emittente locale, Giampiero Timossi, che lo interroga quasi fosse un pubblico ministero.

«Dopo che l’avvocato di Spinelli, Andrea Vernazza, ha rivelato che il suo assistito aveva detto di aver pagato tutti, sono andato a rivedermi i bilanci del Pd» racconta D’Angelo. «Da che ci sono io, anno 2021, non ci è arrivato un soldo. Però l’imprenditore ha finanziato con un bonifico di 25mila euro i dem quando, nel 2010, Burlando correva per la presidenza della Regione. Ho deciso di rendere la cosa pubblica perché penso che la chiarezza sia il solo strumento per dare risposte ai cittadini e mi auguro che il Pd inizi una fase nuova».

 

 

 

Ma i siluri di D’Amico non finiscono qui. Il segretario dem se la prende anche con «i finanziamenti indiretti ai partiti, quelli a comitati elettorali che nascono alla vigilia del voto e spariscono subito dopo o alle fondazioni legate ai grandi politici regionali». L’allusione è naturalmente a Maestrale, la fondazione che Burlando fondò per sovvenzionarsi e alla quale Spinelli aderì immediatamente. È ipotizzabile che, in oltre vent’anni - Burlando è stato governatore dal 2005 al 2015 e negli anni Novanta prima sindaco di Genova e poi ministro dei Trasporti e della Navigazione- l’imprenditore abbia versato alla causa centinaia di migliaia di euro. Sempre relativamente alla campagna elettorale del 2010 figura un versamento al Pd di centomila euro proprio da Maestrale.

Ecco quindi che il pranzo di Burlando, sullo yacht di Spinelli emerso dagli atti dell’ultima inchiesta non sarebbe stato organizzato solo per far saltare la mosca al naso a Giovanni Toti. Ci sono intercettazioni effettuate dalla Guardia di Finanza che non trovano spazio sui giornali ostili alla giunta di centrodestra che dimostrano che tuttora esiste una frequentazione assidua tra i due uomini. In particolare, era Burlando che telefonava a Spinelli per tenerlo informato sugli sviluppi dell’approvazione della concessione trentennale del terminal Rinfuse, che l’uomo attendeva con ansia.

 

 

 

In una prima telefonata, i due si vantavano di un’intervista rilasciata dall’ex presidente al Secolo XIX, che avrebbe «creato subbuglio» negli ambienti politici genovesi. Il via libera tardava e dal tono della conversazione si potrebbe dedurre una strategia politico-mediatica che la coppia stava perseguendo per tentare di sbloccare la situazione, con una funzione del politico di consulente amicale. «Genova ha un porto con tutte le funzioni» spiegava l’ex governatore, «va fatta una scelta precisa, se si pensa a uno scalo per soli container o a una pluralità di servizi, siamo già in ritardo, va fatta a Signorini (allora a capo dell’Autorità Portuale; ndr) questa domanda, poi si deciderà il destino della Rinfuse».

Solo quattro giorni dopo, l’11 novembre 2021, l’ex governatore telefonava ancora all’imprenditore, per confermargli che la delibera stava procedendo, cosa che aveva appreso in Municipio. Tutto questo non per puntare l’indice accusatorio contro qualcuno, ma solo per specificare che, contrariamente a quanto apparso dalle intercettazioni date in pasto alla stampa, la proroga della concessione non era un affare tra Toti e Spinelli. La decisione non spetta neppure alla Regione, che non ha alcun controllo del porto, bensì all’Autorità Portuale, ai tempi presieduta da Paolo Emilio Signorini, l’unico tra gli indagati al momento in cella, l’uomo al quale Spinelli sovvenzionava lussuosi soggiorni a Montecarlo, puntate al Casinò, massaggi con escort e perfino, in parte, il matrimonio della figlia.

Quest’ultimo è un profilo molto particolare, totalmente svincolato dall’attuale giunta, essendo stato nominato la prima volta dall’allora ministro dei Trasporti del governo Renzi, Graziano Delrio (Pd), e confermato sotto l’esecutivo Conte 2 da un altro membro dem dell’esecutivo, Paola De Micheli. La sua vita mondana emersa dalle intercettazioni ha stupito tutti in città, in particolare i politici di centrodestra, che meno lo conoscevano e lo ritenevano un grigio burocrate, un po’ troppo rigido, uno di quei prodotti sullo stile di Bankitalia poi sbarcati nei gabinetti governativi e riciclato sul territorio come uomo di fiducia dalla consorteria progressista.

I rapporti preferenziali tra l’uomo in cella e il mondo dem sono confermati non solo dalla sua frequentazione con Spinelli, che giusto lunedì ha dichiarato ai magistrati di «pagare tutti», ma dal particolare legame che egli intratteneva con Mauro Vianello, presidente di Ente Bacini dal 2020 nonché proprietario della Santa Barbara, storica impresa del porto in materia di sicurezza, nonché feudo rosso sindacalizzato al 95%. Fu proprio Signorini ad affidargli una consulenza da 200mila euro, per la quale l’uomo non aveva alcuna competenza specifica, quasi lo volesse ringraziare per aver favorito il suo trasloco dall’Autorità Portuale alla Iren, una multi-utility in parte municipalizzata. Un passaggio che il grande indagato agognava, forse nel tentativo di sfilarsi prima che nel porto scoppiasse la tempesta giudiziaria.

Sono tutti quesiti ai quali Vianello non ha voluto dare soluzione davanti ai magistrati, avvalendosi della facoltà di non rispondere e rinunciando anche a chiedere la revoca dei procedimenti di interdizione nei suoi confronti. Quando si aprirà anche il filone dem dell’inchiesta, probabilmente se ne vedranno delle belle e forse il campo progressista non avrà tutta questa fretta di correre a elezioni anticipate.
 

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