Assoluzioni inappellabili: dov'è già in vigore la proposta di Nordio

Il guardasigilli promette una svolta dopo il ricorso dei pm di Palermo contro Salvini. Ecco tutti i Paesi che prevedono norme garantiste
di Pietro De Leodomenica 20 luglio 2025
Assoluzioni inappellabili: dov'è già in vigore la proposta di Nordio
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L’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Tema non di oggi, già Silvio Berlusconi lo mise sul tavolo ai tempi del suo terzo governo. Ieri è stato rilanciato dal Guardasigilli Carlo Nordio, dopo il ricorso di Palermo contro l’assoluzione in primo grado di Matteo Salvini nel processo Open Arms.

Si tratta di un principio giuridico fuori dal mondo? Assolutamente no, e alcuni sistemi, rientranti nella famiglia della “Common Low”, già lo contemplano. Negli Stati Uniti vale la “Double Jeopardy Clause”, e cioè non è possibile perseguire una persona due volte per lo stesso reato dopo che c’è stata un’assoluzione. Questo principio prende corpo da uno stato di cose molto semplice: c’è uno squilibrio fisiologico tra accusa e difesa, perché la prima ha molti più mezzi investigativi. Dunque, l’inappellabilità dell’assoluzione si lega alla necessità di tutelare il cittadino di fronte al rischio persecutorio.

Questo principio ovviamente incorre a delle eccezioni nel caso in cui emergano vizi procedurali oppure delle prove in grado di dimostrare che l’assoluzione è stata ottenuta con metodi illeciti. Anche in Gran Bretagna vale lo stesso principio, con alcune eccezioni introdotte da una legge del 2003. Questa ultime riguardano, per esempio, l’emersione di nuove prove a carico dell’imputato dopo l’assoluzione oppure, anche in questo caso, la corruzione o l’intimidazione di giurati e testimoni.

In presenza di queste caratteristiche, la sentenza di assoluzione può essere appellata alla Corte Suprema, che ne valuterà anche l’interesse pubblico. Anche in Australia la sentenza di assoluzione non è appellabile, se non in alcuni casi. Dall’accusa, se ritiene vi siano state gravi irregolarità nel processo, vi siano lacune di diritto o anche qui - siano emerse nuove prove. Dalla parte civile, per questioni limitate alle sue rivendicazioni, per esempio sul piano del risarcimento. Normativa simile vi è in Nuova Zelanda, dove per il ricorso, oltre alle eccezioni riguardanti irregolarità del processo e le prove, è necessaria un’autorizzazione da parte del Tribunale d’Appello.

Ieri, nel frattempo, è andata avanti la polemica su altre dichiarazioni del ministro della giustizia Carlo Nordio, relative al procuratore Raffaele Piccirillo, e all’intervista rilasciata giorni fa a Repubblica con cui criticava l’atteggiamento tenuto da Nordio sul caso Almasri. «Che un magistrato si permetta di censurare su un giornale le cose che ho fatto, in qualsiasi paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri», aveva detto Nordio sabato, suscitando il fuoco di fila di opposizioni o Anm.

Ieri, la polemica in parte è proseguita. Il numero uno dell’associazione dei magistrati, Cesare Parodi, in un’intervista a La Stampa ha affermato: «Non entro nel merito della questione. Però il magistrato Piccirillo non ha dato un giudizio di valori, ma, a fronte anche della sua lunga esperienza, ha fatto una lunga serie di argomentazioni puntuali che sono il sale della discussione e dell’interlocuzione».
Sulle parole di Nordio, «rifiutare con quei toni non la critica secca, ma l’argomentazione nel dettaglio, è una cosa che preoccupa parecchio noi magistrati».

Attacca poi, in un colloquio di Repubblica, il Segretario della corrente progressista Area, Giovanni Zaccaro: «Il ministro Nordio pensa di essere Churchill ma in realtà mi pare somigli più a Trump: ha la stessa idiosincrasia verso il diritto di critica e lo stesso progetto di addomesticare i magistrati, riducendone la indipendenza». Cerca invece la strada del confronto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, in un convegno a Palermo: «Credo che la ricerca di nuovi equilibri intorno al principio di indipendenza della magistratura sia legittima, ma credo pure che non si possa realizzare se non sostituendo al sospetto e alla sfiducia, l’attenzione e il rispetto; all’invettiva e alla contrapposizione polemica, il dialogo e la condivisione di un comune senso di responsabilità, altrimenti si consuma progressivamente il tessuto istituzionale».

Sul piano politico, invece la deputata del Pd Debora Serracchiani chiede le dimissioni del guardasigilli. Commenta Francesco Paolo Sisto, viceministro della giustizia: le opposizioni «chiedono le dimissioni di qualche ministro un giorno sì e un giorno no». Si tratta di «un atteggiamento tanto ripetitivo da rasentare la puerilita».

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