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Le toghe che considerano gli elettori una massa di fessi

Gli allarmi assurdi dell’Anm: cosa ci spiega la strategia referendaria dei magistrati
di Francesco Damatolunedì 3 novembre 2025
Le toghe che considerano gli elettori una massa di fessi

3' di lettura

La filosofia del diritto, almeno ai miei tempi universitari, era una materia da primo annodi giurisprudenza, il cui esame gli studenti affrontavano fra i primi trovando la materia forse più empatica che facile. Eppure di filosofia vedo ben poco, e quel poco alquanto sottosopra, nella campagna referendaria ormai in corso sulla riforma della giustizia - o della magistratura, come preferisce chiamarla con la sua esperienza Antonio Di Pietro - appena approvata dal Parlamento.

Il no gridato e reclamato dall’Associazione nazionale dei magistrati e dalle sue appendici politiche è spiegato addirittura enfatizzando la pericolosità dei pubblici ministeri con i quali i giudici vorrebbero continuare ad avere una carriera unica. La separazione renderebbe i magistrati d’accusa ancora più forti di adesso. E il governo - con un altro sospetto o ragionamento cervellotico - ne vorrebbe il rafforzamento, dietro un apparente ridimensionamento rispetto al famoso “giudice terzo e imparziale” introdotto 26 anni fa nell’articolo 111 della Costituzione, per poi impadronirsene e metterlo al proprio servizio con un’altra riforma, evidentemente. E così l’intero sistema giudiziario finirebbe alle dipendenze della politica dopo averla sovrastata per una trentina d’anni. Da quando cioè, per pubblica e insospettabile ammissione o denuncia dell’allora presidente della Repubblica, e del Consiglio Superiore della Magistratura, Giorgio Napolitano scrivendone alla vedova di Bettino Craxi, i rapporti fra politica e giustizia, o magistratura, concepiti dai costituenti e rimasti scritti sulla Carta, furono “bruscamente” cambiati. E ciò all’ombra delle inchieste e dei processi sul finanziamento tanto illegale quanto diffuso dei partiti.

Mi chiedo di fronte al cervellotico ragionamento dei magistrati associati, e dei loro corifei politici, sino a che punto costoro potranno e vorranno abusare dei loro interlocutori anche a livello referendario, cioè elettorale, potendosi e dovendosi risolvere un referendum, specie quello cosiddetto confermativo, e non abrogativo, contando i sì e i no, senza condizionamenti come una certa partecipazione o affluenza alle urne. Neanche i sofisti dell’antica Grecia, maestri di retorica e dialettica, erano arrivati a tanto.

Questa di considerare gli elettori così sprovveduti, così fessi, diciamolo pure, è la cosa che più colpisce dell’approccio della magistratura associata e politicizzante, oltre che politicizzata, al referendum sulla riforma costituzionale della giustizia. La cui campagna impegnerà anche i giornali sino alla primavera prossima, in una delle domeniche possibili fra metà marzo e metà giugno.

Più a marzo che a giugno, ha per fortuna anticipato il ministro Carlo Nordio senza incorrere fortunatamente, almeno sinora, a qualche nuovo attacco o esposto giudiziario, addirittura, di un avvocato fantasioso premiato da qualche procuratore della Repubblica generoso, a dir poco.

La politica, come la rivoluzione, non è un pranzo di gala. D’accordo, pur senza spingerci alle immagini fognarie o mattatoriali usate una volta, nella cosiddetta prima Repubblica, dal socialista Rino Formica, che a quasi 100 anni - 98, di preciso- ancora interviene nelle polemiche scrivendone in particolare sul Domani. Ma anche in una simile visione cruenta, si dovrebbe avvertire un limite di buon senso e di buon gusto. È troppo chiederlo anche ai magistrati a corrente unica o separata, che rimanga o diventi?