«La separazione delle carriere tra pm e giudici l'avevamo voluta noi», ricorda Giovanni Pellegrino, un pilastro della storia parlamentare. Dove il «noi» è la sinistra italiana negli anni in cui, per la prima volta, era riuscita ad arrivare a Palazzo Chigi. Pellegrino, classe 1939, avvocato, professore di Legislazione e politiche sociali all'Università di Lecce, è stato senatore della Repubblica per quattro legislature: dal 1990 al 2001. Prima con il Pci, poi con il Pds, infine con i Ds e l'Ulivo. Tuttora si sente parte di questo mondo: «Io voto Pd», mi dice alla fine, rifiutandosi di dare consigli a quella che definisce «la mia segretaria», cioè Elly Schlein. Il suo nome in genere è associato alla Commissione d'inchiesta sulle stragi, che guidò dal 1996 al 2001, occupandosi dei principali misteri irrisolti della Repubblica. Ma Pellegrino, dal 4 febbraio 1997 al 29 maggio 2001, fu anche membro di un'altra commissione: la Bicamerale voluta da Massimo D'Alema. Quella che provò, in accordo con il Polo delle Libertà di Silvio Berlusconi, a modificare la Costituzione. E fu presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità negli anni di “mani pulite”, quando arrivavano decine di richieste a procedere dal pool milanese.
Partiamo dalla riforma dell'ordinamento giudiziario, approvata in via definitiva, che introduce la separazione delle carriere tra magistratura richiedente e giudicante. Qual è il suo giudizio?
«Senza altro favorevole. È il completamento logico di un percorso iniziato con l'introduzione del rito accusatorio nel codice di procedura penale e continuato con l'introduzione del giusto processo in Costituzione. Armonizza scelte costituzionali opportunamente già fatte. Aggiungo solo un rilievo».
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«Forse non era una riforma tanto urgente, perché dopo la riforma Cartabia il passaggio da pm a giudice era diventato residuo. Però, certamente, con questa riforma diventa tutto più logico».
Il Pd, insieme ad Avs e M5S, raccoglierà le firme per cancellarla al referendum. Cosa ne pensi di questa scelta?
«Non la vedo favorevolmente. Però la mia posizione non diverge da tanti rappresentanti dell'ex corrente “migliorista” del Pci che la pensano come me.
Siamo in molti, a sinistra, a ritenere che questo muro contro muro non sia una scelta opportuna, pur restando una perplessità sulla riforma del Csm, in particolare sulla modalità del sorteggio».
Nel Pd si è detto, tra le varie cose, che si ha voluto vendicare Berlusconi. Lei fu senatore proprio negli anni di “mani pulite” e poi quando Berlusconi scese in politica. È così?
«Non è affatto così. Nella Bicamerale di D'Alema la separazione delle carriere era una riforma che avevamo voluto noi, non Berlusconi. Poi non se ne fece niente perché Berlusconi fece fallire la Bicamerale. Ma non è assolutamente vero che la separazione fu un'idea di Berlusconi».
Secondo lei perché il Pd, oggi, ha cambiato completamente posizione rispetto ad allora?
«Perché abbiamo questa idea sbagliata che l'opposizione sia dire comunque no a tutto quello che fa il governo. Mentre la storia del Pci dovrebbe ricordarci che anche dall'opposizione si può influire sulla maggioranza, condizionarla. L'opposizione muscolare, alla fine, non conviene neanche all'opposizione».
Uno dei principali argomenti di chi si oppone è che con questa riforma il pm, si dice, finirà per essere sottoposto all'esecutivo. Vedi questo rischio?
«NO. Per sottomettere il pm al potere esecutivo servirebbe un'altra riforma costituzionale. Finché i magistrati inquirenti possono scegliere la loro rappresentanza nell'organo di autogoverno, l'autonomia è preservata».
Diceva che non la convince il sorteggio per scegliere i membri dei due Csm. Perchè?
«Perché così l'organo di autogoverno perde rappresentatività. E la rappresentatività è garanzia dell'autonomia».
Il giorno del via libera definitivo al Senato, le opposizioni hanno innalzato cartelli con scritto “No ai pieni poteri”. Cosa ne pensi?
«È un'idea che non trova riscontro nelle cose».
Le opposizioni puntano a trasformarlo in un referendum pro o contro Giorgia Meloni, accusandola di un disegno autoritario che comprende anche altre riforme. Potrebbe funzionare?
«Non credo. Se diventa un quesito sulla Meloni, le opposizioni rischiano di perderlo: il consenso della premier non sembra scendere».
Matteo Renzi, però, perse il referendum costituzionale e poi dovette dimettersi dal premier proprio in questo modo. Non potrebbe ripetere lo stesso film?
«Renzi fece l'errore di dire che se avesse perso il referendum, si sarebbe dimesso. Meloni non ha fatto lo stesso errore».
Altro argomento contro la riforma è che, si dice, non serve perché non risolve i problemi della giustizia. È vero?
«È vero che non risolve i problemi della giustizia, ma rende l'intero ordinamento più coerente. Dà coerenza a scelte già fatte, prima con l'introduzione del rito accusatorio poi con il giusto processo in Costituzione».




