Che la nostra società stia attraversando una crisi morale non è più una percezione isolata, ma una realtà quotidiana. Osserviamo questa crisi nei comportamenti pubblici e in quelli privati, nel linguaggio cinico, nella normalizzazione della corruzione. I riferimenti etici, che un tempo rappresentavano dei punti fermi, oggi appaiono dissolti. Il confine tra bene e male si è offuscato: al suo posto, una vasta zona grigia dove tutto è negoziabile e l’unica bussola sembra l’interesse personale. Ci troviamo di fronte a un profondo smottamento culturale. La morale - intesa come insieme di principi guida per agire nel rispetto dell’altro e di sé - ha perso la sua forza collettiva. In molti ambiti è divenuta facoltativa, opzionale, persino ingombrante. In nome di una libertà fraintesa, si è affermato un relativismo etico che ha spalancato le porte a egoismo, indifferenza e spregiudicatezza.
La sociologia offre una chiave per interpretare questo declino. In assenza di moralità condivisa, le norme sociali si indeboliscono. È il fenomeno che Émile Durkheim chiamava “anomia”: perdita di coesione in una società dove le regole cessano di essere vincolanti. In questo vuoto si insinua uno dei più potenti veleni del nostro tempo: il degrado morale. Prevale l’idea che nulla abbia valore autentico, che tutto sia equivalente e che perseguire il tornaconto sia non solo accettabile, ma necessario. L’astuzia è celebrata più dell’onestà; l’aggirare le regole viene premiato più del rispettarle. Chi mantiene fedeltà ai principi etici è spesso tacciato di ingenuità, se non di anacronismo. Il rischio? Una cultura che glorifica i trasgressori ed emargina chi agisce con integrità.
La crisi è trasversale: la ritroviamo nella sfera sessuale, in politica (dove la coerenza è merce rara), nelle relazioni umane (dove l’arroganza soppianta la cortesia), nell’educazione (dove pudore e rispetto appaiono concetti desueti). L’individualismo ha prevalso, insieme a una libertà sganciata da ogni limite. Una libertà senza responsabilità, che troppo spesso sfocia in arroganza e prevaricazione. Il vero nemico della moralità, però, non è solo l’egoismo. È anche il nichilismo: la convinzione che nulla abbia senso, che non esista verità o bene degni di impegno. Se tutto è opinione, tutto è lecito. Ma il nichilismo non libera: svuota, genera disillusione e cinismo.
In un tempo di smarrimento come il nostro, trovare la direzione giusta è un atto di coraggio. E di coraggio, oggi, abbiamo disperato bisogno. Perché una società senza etica non si spegne all’istante ma implode lentamente. Come ammoniva Dostoevskij: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”. Una frase estrema, che inchioda la nostra epoca alla sua inquietudine più profonda: senza riferimenti morali ogni scelta diventa arbitraria e il vuoto si traveste da libertà. Eppure, proprio qui si nasconde la nostra sfida: resistere alla tentazione del nulla. Ricostruire, gesto dopo gesto, un orizzonte di senso. Non servono grandi proclami, ma scelte quotidiane che onorino la dignità dell’uomo. Perché persino nel deserto etico può germogliare un seme di bene.




