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Lusi si confessa, l'intervista:"Feci un patto scellerato.Pago la mia lealtà a Rutelli"

L'ex tesoriere della Margherita di Rutelli

Vi proponiamo un lungo estratto dal libro-intervista con Barbara Romano. Le rivelazioni dell'ex tesoriere inchiodano la Margherita

Andrea Tempestini
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  Dal libro di Barbara Romano Il caso Lusi. Storia di un untore, pubblichiamo l'intervista a Luigi Lusi, l'ex tesoriere della Margherita attualmente rinchiuso nel carcere di Rebibbia. Barbara Romano, giornalista, lavora per Libero e Porta a Porta. Il volume, stampato da Aliberti Editore (188 pagine, 14 euro), sarà disponibile in libreria da martedì. L'autrice ha chiesto più volte a Francesco Rutelli di fornire la propria versione dei fatti e replicare alle accuse lanciate da Lusi in questa intervista. Ma non ha ricevuto ancora alcuna risposta. Segue l'intervista di Barbara Romano. Cosa pensa quando le torna in mente Rutelli e riflette sulla vostra passata amicizia? «L'ultima volta che ho parlato con Francesco Rutelli (FR) era martedì 17 gennaio 2012, alle 4 del pomeriggio, nel suo ufficio dentro Palazzo Giustiniani. Lo avevo già visto alle 13 dello stesso giorno, di ritorno dal primo interrogatorio con i pubblici ministeri, per riferirgli nel dettaglio dell'incontro con gli inquirenti e per rassegnargli le mie immediate e irrevocabili dimissioni da tesoriere di Democrazia è Libertà - La Margherita e da tutti gli altri incarichi fiduciari che mi erano stati conferiti dal 2001 in poi. Non abbiamo mai più parlato da allora. L'avvocato Luca Petrucci che lo aveva incontrato il 17 gennaio sera mi riferì che FR non voleva più né vedermi né sentirmi. Così è stato. Del rapporto, profondo, vissuto, quasi ventennale con lui mi sembra siano rimaste solo macerie, quelle di un terremoto non naturale provocato dall'incapacità di un leader di assumersi le proprie responsabilità. Ho conosciuto FR nel giugno 1993; dall'inizio di settembre 1993 sono sempre stato a stretto contatto con lui; un rapporto progressivamente sempre più stretto, politico, professionale e umano. Oggi restano diciotto anni buttati al vento e dispersi nel peggiore dei modi». Perché nel suo discorso al Senato ha sentito la necessità di chiedere scusa agli italiani? «Le scuse rivolte agli italiani, con il mio intervento in Senato il 20 giugno, erano un atto voluto e dovuto. Esse riguardavano la tipologia dei miei comportamenti. La prima era inerente al cambiamento avvenuto, nella qualità di tesoriere di un partito politico, da un “prima” – fino al 2006 – quando il mio rigore nella gestione delle risorse finanziarie era arrivato al punto da farmi odiare da molti leader della Margherita, a un “dopo” – dal 2007 in poi – quando ho accettato quel patto scellerato che prevedeva un mio diverso atteggiarmi di fronte ai controlli che avrei dovuto compiere sulle modalità di spesa altrui a fronte di compensi non ufficiali erogati in servizi, per la pavidità del leader di assumersi le proprie responsabilità di fronte agli altri dirigenti politici. Su questo “dopo” i media si sono soffermati su fatti di costume, soggettivi e discutibili quanto si vuole, ancorché non tutti a me ascrivibili, ma comunque e sempre solo di costume e penalmente irrilevanti. In un momento di crisi così difficile per molti, appare evidente che siano questi i fatti che hanno infastidito chi più soffre. E indipendentemente dai miei personali gesti e atti di solidarietà, per i quali ho sempre scelto di non fare pubblicità – lasciando ai beneficiati, ove lo ritengano, di renderne testimonianza – mi rendo conto che la conoscenza di tali fatti di costume costituisca, in sé, una manifestazione di non completa solidarietà con gli italiani in difficoltà». Con il senno di poi, non la sfiora mai il sospetto di aver perso il senso della realtà, di ciò che accadeva nel partito, mentre gestiva tutto quel denaro esercitando il ruolo di tesoriere? Non ha proprio nulla da rimproverarsi? «Ho esercitato un mandato, quello di tesoriere, con fedeltà e lealtà. Fedeltà alle mission che mi venivano affidate e lealtà nei confronti del leader che mi aveva indicato per quel ruolo politico e verso gli accordi assunti fra quel leader e gli altri dirigenti politici. Il ruolo del tesoriere di un partito è innanzi tutto quello di custode di segreti, confessabili o meno, e di problem solver (risolutore di problemi nel rispetto della legalità). Mi era tanto chiaro cosa accadesse nella Margherita dal 2007 in poi, quanto mi era chiaro tutto ciò che, di volta in volta, mi venne chiesto di fare da allora in poi per tutelare il leader, innanzi tutto, e i dirigenti politici che con lui avevano stretto un patto del quale io sono stato il garante esecutivo fino al 16 gennaio 2012. Mi rimprovero di essere stato eccessivamente leale, così leale da essere andato fuori dallo spartito, facendo pesare in me più il volere e il peso (sempre più soffocante) della lealtà al leader che l'attenzione al contenuto, ormai stonato da tempo, dello spartito stesso». Quanti amici le sono rimasti tra gli ex margheritini? Quanti di quelli che la ossequiavano le hanno voltato le spalle? Questa circostanza le ha fatto sperimentare solidarietà insospettabili? «Alcuni amici sono rimasti. Attribuisco al significato della parola “amico” un contenuto alto. Mi sembra ancora presto per fare un saldo di quanti amici con la “A” maiuscola siano rimasti, a fronte di quelli con la “a” minuscola. Lo vedremo nel corso dei prossimi mesi, e poi durante e dopo il dibattimento. In molti hanno voltato le spalle, come era, d'altra parte, prevedibile. In questi casi – come sto rilevando, non avendo ancora percorso l'intero e postumo “percorso quaresimale” – c'è chi scompare subito e ricompare all'epilogo della vicenda, anche sorprendendoti con un'affettuosità e un trasporto un po' da Giuda; c'è chi scompare e dichiara che lo fa nel dubbio che la propria presenza mi metta a disagio; c'è, infine, chi riesce a esserci, con discrezione e calore. Non lo immaginavo, ma in questa mia vicenda ho scoperto solidarietà inattese e inimmaginabili. Non c'è balsamo più lenitivo della presenza affettuosa, discreta, leale, di persone non obbligate da ragioni di ufficio o di Stato». Cosa significa per una famiglia ritrovarsi con il padre e la madre agli arresti? In che modo questa vicenda giudiziaria ha stravolto le vostre vite, la vostra routine, i vostri rapporti personali? Cosa ha detto ai suoi figli? «La vicenda giudiziaria che mi ha coinvolto dapprima direttamente e poi con mia moglie ha rivoluzionato, per nostra scelta, la nostra vita. La decisione assunta alla fine di marzo di lasciare ogni abitazione – non essendo più il tesoriere e non dovendo, quindi, più osservare il mandato fiduciario – per trasferirsi con tutta la famiglia nel nostro appartamento in Roma ne è la cartina di tornasole. Quando la vicenda è stata resa pubblica dai media alla fine di gennaio, abbiamo riunito tutti i figli e in una lunga cena di due ore e quarantacinque minuti abbiamo spiegato loro tutto, nel dettaglio; anche cose che poi i magistrati avrebbero cominciato a conoscere dal mio interrogatorio del 27 marzo, da me confermate e precisate nell'interrogatorio di garanzia del 23 giugno nel carcere di Rebibbia. La routine è completamente cambiata. Qualche cliente ha abbandonato il mio studio legale ritenendo che la mia vicenda avrebbe potuto danneggiarlo e altri, invece, hanno continuato a darmi fiducia. Molti creditori dello studio legale hanno cominciato a non onorare i propri impegni. E il combinato disposto delle due cose sta determinando, in questo periodo, una terribile e mai vissuta crisi finanziaria che, allo stato, non mi rende possibile nemmeno di pagare le tasse in scadenza a luglio. L'assegno di mantenimento per la madre dei primi due figli, le spese dello studio legale e il personale che lavora per noi, ancorché tutto estremamente ridimensionato rispetto a dicembre 2011, in ogni sua voce di spesa, nessuna esclusa, ha di fatto concorso a modificare radicalmente lo stile di vita della mia famiglia. La notizia dell'arresto, il 3 maggio, ha prodotto reazioni diverse. La prima figlia non ce l'ha fatta e si è rinchiusa nel suo dolore e nella gestione della sua vita e delle sue scadenze nella casa che ho loro lasciato, dove vive con la madre e con il mio secondo figlio. Il secondo figlio ha trattenuto in corpo il suo dolore ma ha continuato a frequentare la nostra casa, con il ritmo di sempre, dimostrando una propria autonomia di pensiero e un grande affetto, espresso più nei gesti che non nelle parole: come gli adolescenti sanno fare. La terza figlia, che pure tanti problemi di studio e di comportamento ci aveva riservato in questo ultimo anno, dalla data dell'arresto di Gianna, il 3 maggio, ha visto sbocciare in sé una nuova consapevolezza, una nuova maturità che le ha permesso di essere vicina alla madre – costretta in casa – con la forza e la capacità di sognare che solo un'adolescente può avere con quella intensità. Io e Gianna coltiviamo in noi il sogno e la speranza che la piccola di due anni non ricordi nulla di questa brutta vicenda». E adesso che farà? Che succederà? Cosa vede nel suo futuro?  «Ora devo esser concentrato, come sempre, su più fronti, il primo dei quali consiste nel riacquistare la libertà. In contemporanea dovrò occuparmi di aumentare il mio ritmo lavorativo per dare certezze e futuro alla mia famiglia, mentre dovrò difendermi nel processo dibattimentale quando arriverà. E, in tutto questo, sarò accanto a mia moglie e ai miei figli che di questo hanno totalmente bisogno come ne ho bisogno io».  

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