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"Italia che lavora"? Questa è l'Italia che "se ne fotte". Silvio lo ricordi...

Facci visto da Vasinca

Disoccupati, pensionati, scoraggiati: Berlusconi non scelga quel nome per il suo movimento, a meno che voglia puntare alla minoranza assoluta

Andrea Tempestini
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di Filippo Facci Si è letto che il nuovo partito di Berlusconi (o lista: non vorremmo offendere) tra altri nomi potrebbe anche chiamarsi «Italia che lavora»: espressione, questa, che parrebbe buona per includere una generica maggioranza. Peccato che non sia assolutamente così, e non vorremmo che il Cavaliere puntasse dritto all'opposizione. In Italia, infatti, lavorano solo 23 milioni di persone e il nostro è il paese europeo col minor tasso di occupazione. In compenso, come è noto, abbiamo 16 milioni di pensionati oltre a un bel po' di disoccupati e un sacco di altra gente che il lavoro manco lo cerca. L'Istat registra anche la formidabile categoria dei 326mila che «cercano lavoro ma non sono disponibili a lavorare», meraviglioso. La scarna Italia che lavora, va detto, è composta per il 90 per cento da maschi tra i 35 e i 54 anni, coloro dai quali si preleva la maggior parte dei soldi che mantengono tutti gli altri. Sicché, calcolando i lavoratori del pubblico e comunque i tantissimi dipendenti, il target di sicuro interesse berlusconiano potrebbe rivelarsi più ristretto del previsto. Anche perché a sfalsare tutti i parametri - ciò che dovrebbe interessare maggiormente Berlusconi ma anche tutti gli altri - c'è la vera e maggioritaria categoria che ormai decide le elezioni in Italia: l'Italia che lavora, non lavora, fa part time, se ne fotte, ma il punto è che non vota.   

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