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Facci: la Kyenge, Calderoli e la giusta indifferenza

Filippo Facci visto dal nostro Vasinca

Inutile creare un caso internazionale su una battutaccia. Il razzismo sarà sconfitto quando il colore della pelle non impedirà di diventare ministro. Né aiuterà a diventarlo

Giulio Bucchi
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Dell'inopportunità di paragonare la Kyenge a un orango, in questa pagina, già si occupano altri. Io mi limiterei a ripetere una cosa semplice ma che pare ardua da comprendere: che lo scalcagnato esercito «razzista» non si combatte contrapponendogli un altro esercito «antirazzista», il quale, partendo da un'uscita di Calderoli a Treviglio, faccia esplodere una bomba mediatica internazionale. Non serve combattere le guerre già vinte: non è che il razzismo sarà sconfitto quando avremo dieci ministri come la Kyenge, sarà sconfitto quando l'etnia originaria sarà irrilevante al pari delle battute infantili. Negli Usa è presidente un uomo nero, ed è stato uno straordinario punto d'arrivo: ma il prossimo grande balzo sarà non notarlo neppure. Non serve essere anti-razzisti: basta essere normali, non badare neppure a certe sciocchezze, lasciarle macerare nel dimenticatoio della Storia o se volete a Treviglio. Altrimenti l'antirazzismo diventa una forma di razzismo blando, inconsapevole, a fin di bene: perché razzismo non è solo l'essere intolleranti con il diverso, ma è anche il sottolineare, ogni volta, che comunque è diverso. Per questo le battute sui nani sono peggiori di quelle sui neri: perché le prime mirano a un incolpevole difetto fisico, a uno svantaggio innegabile, mentre le seconde mirano al nulla, perché il colore è un dettaglio senza conseguenze.  Non dovrebbe impedirti di diventare ministro, il colore, e neppure aiutarti a diventarlo. di Filippo Facci

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