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"Non è Francesco": Il libro di Socci sul Papa che agita il Vaticano

Ignazio Stagno
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«A Joseph Ratzinger, un gigante di speranza». Inizia con questa dichiarazione di appartenenza e di fede il libro dell'intellettuale cattolico e collaboratore di Libero Antonio Socci “Non è Francesco”, edito da Mondadori e in libreria dal 3 ottobre. Dedicato anche «ai cristiani perseguitati in Iraq», il volume ha fatto discutere prima ancora di arrivare sugli scaffali. Niente che Socci non volesse. Lo scopo, scrive lui stesso, è indagare su domande «così destabilizzanti e “proibite” dal mainstream che tutti evitano di dirle in pubblico». Non sono parole esagerate. «Quali sono», chiede infatti Socci, «i motivi tuttora sconosciuti della storica rinuncia al Papato di Benedetto XVI? Qualcuno lo ha indotto a ritirarsi? Ma soprattutto: è stata una vera rinuncia? Perché non è tornato cardinale, ma è rimasto “Papa emerito”?». Socci affronta pure un'altra questione dirompente: se durante il Conclave che elesse Bergoglio siano state violate - come a lui pare - le norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis. La giornalista argentina Elisabetta Piqué ha infatti svelato che Bergoglio fu eletto nella quinta votazione del 13 marzo (la sesta in totale), con una serie di procedure che avrebbero trasgredito quanto previsto dalla Costituzione apostolica, rendendo così «nulla e invalida l'elezione stessa». Questioni gravi, che meritano chiarimenti approfonditi. Qui i lettori di Libero troveranno ampi stralci tratti dalla premessa del libro, laddove Socci racconta la propria delusione per un papa, Francesco, che pure aveva accolto «a braccia spalancate, come era giusto fare ritenendolo il Papa legittimamente eletto». (F.C.)   Ammetto di essere uno dei tanti che hanno accolto Bergoglio - il 13 marzo 2013 - a braccia spalancate, come era giusto fare ritenendolo il Papa legittimamente eletto. E anche per una serie di amicizie comuni (a me molto care), che mi avevano indotto a nutrire benevole speranze nel nuovo Pontefice. Gli comunicai perfino (e convintamente) che - fra tanti altri - poteva contare pure sulla preghiera mia e della mia famiglia, e sull'offerta delle nostre croci per il compimento della sua alta missione. Mi piaceva quel suo stile dimesso. I giornali lo rappresentavano come il vescovo che girava per Buenos Aires con i mezzi pubblici, che abitava in un modesto appartamento anziché nel palazzo vescovile, che frequentava i miseri quartieri delle periferie come un padre buono, desideroso di portare ai più infelici la carezza del Nazareno. Tutto questo poteva essere una formidabile ventata di aria fresca per il Vaticano e per l'intera Chiesa. Ho sostenuto papa Francesco come potevo, per mesi, da giornalista, sulla stampa. Mi sembrava un apostolo del confessionale, devoto della Madonna. L'ho difeso dalle critiche affrettate di alcuni tradizionalisti e continuo a trovare ancora oggi assurde le polemiche di coloro che prendono a pretesto le dichiarazioni di papa Francesco per attaccare in realtà il Concilio Vaticano II, Joseph Ratzinger e Giovanni Paolo II, (...) che nessuna responsabilità hanno nelle scelte di Bergoglio. Da questo punto di vista sono ben contento di essere fra coloro che Roberto De Mattei considera «i difensori più accaniti del Vaticano II». Sono infatti convinto, con Benedetto XVI (con Giovanni Paolo II e con Paolo VI), che il Concilio è un evento molto prezioso. Ma il vero Concilio, quello che sta nei documenti e fa parte del magistero della Chiesa. Ben altra cosa (opposta) è quello «virtuale» costruito dai mass media, quello che per esempio si trova teorizzato dalla storiografia progressista. (...) Sostenere oggi che le dichiarazioni di Bergoglio a Scalfari (per fare un esempio) in fin dei conti sono in continuità con Benedetto XVI, con Giovanni Paolo II e con Paolo VI, ovvero che Bergoglio «incarna l'essenza del Vaticano II» (De Mattei), è assurdo. (…). Purtroppo, oggi io sono uno dei tantissimi delusi (un sentimento che dilaga sempre più tra i cattolici, seppure non raccontato dai giornali). (…). Diversi cardinali avevano votato Bergoglio con la speranza che egli continuasse l'opera di rinnovamento e purificazione intrapresa da Benedetto XVI, che irrompesse nella Curia vaticana e (metaforicamente) la rovesciasse come un calzino, quasi col fuoco di Giovanni Battista. Invece bisogna amaramente riconoscere che poco o nulla è stato fatto (solo qualche rimozione, in certi casi anche ingiusta). Va bene andare a vivere nel residence di «Santa Marta», può essere anch'esso un segnale positivo, anche se non è proprio una povera cella monastica. Io, in un mio libro avevo addirittura sognato un Papa che andava a vivere in una parrocchia di borgata. In ogni caso apprezzo il messaggio. Ma poi il problema è il governo di quella cosa complessa che è il Vaticano e - per esempio - dello Ior, che qualcuno ha pure prospettato di chiudere, non essendo chiara la sua utilità per la Chiesa, ma che Bergoglio non ha chiuso affatto. Al contrario, dicono gli osservatori più informati, Bergoglio ha moltiplicato commissioni, burocrazie e spese. (…) Ci si aspettava una ventata di rigore morale nei confronti della «sporcizia» (anche del ceto ecclesiastico) denunciata e combattuta dal grande Joseph Ratzinger. Ma come dobbiamo interpretare il segnale dato al mondo di lassismo e di resa nei confronti dei nuovi costumi sessuali della società e dello sfascio dei principi morali e delle famiglie? Come interpretare il rifiuto di papa Bergoglio di opporsi alle questioni etiche, come hanno fatto eroicamente i suoi predecessori, o anche solo di «giudicarle», cioè di contrastare culturalmente quella rivoluzione dei rapporti affettivi che distrugge ogni serio legame e ha lasciato tutti più soli e infelici, schiavi dell'istinto? San Paolo affermava «l'uomo spirituale giudica ogni cosa» (1Cor 2,15) e non «chi sono io per giudicare?». E perché non opporsi a quella cultura della morte che non riconosce più nessuna sacralità all'essere umano o a quell'ondata di anticristianesimo e antiumanesimo che, sotto diverse bandiere, pervade ormai il mondo? (...). C'erano da confutare coloro che, nella Chiesa, buttano alle ortiche la retta dottrina cattolica e che - pure da cattedre potenti - demoliscono il cuore della fede, invece si sono visti «bastonare» i buoni cattolici, quelli ortodossi che vivevano veramente la povertà, la castità, la preghiera e la carità. Anzi, papa Bergoglio si scaglia proprio su chi usa «un linguaggio completamente ortodosso» perché così non corrisponderebbe al Vangelo (Evangelii Gaudium n. 41). Cosa mai vista e mai sentita in tutta la storia della Chiesa. Per non dire di quando lo stesso Bergoglio si avventura nelle sue sconcertanti affermazioni, tipo «se uno non pecca non è uomo», una tesi sorprendente che nemmeno si avvede così di negare di fatto l'umanità di Gesù e Maria, i quali furono esenti dal peccato e proprio per questo sono il modello ideale supremo dell'uomo e della donna.  O quando ha attribuito erroneamente a san Paolo la frase «mi vanto dei miei peccati» (Omelia di Santa Marta del 4 settembre 2014), un'enormità su cui il sito vaticano www.news.va ha ritenuto addirittura di fare il titolo «Perché vantarsi dei peccati». Evidentemente in Vaticano, e in particolare a Santa Marta, non si conosce quanto afferma san Tommaso d'Aquino: «È peccato mortale quando uno si vanta di cose che offendono la gloria di Dio». Si sperava davvero che si soccorressero le vittime più indifese e inermi nelle periferie più sperdute del mondo, invece - lo ricordo con dolore - papa Bergoglio ha ostinatamente evitato di alzare la sua voce, nell'estate 2014, in soccorso dei cristiani massacrati nel Califfato islamico del Nord Iraq, limitandosi a poche dichiarazioni, senza mai pronunciare una vibrata invettiva (come quelle che ha fatto su argomenti politically correct) o un vigoroso appello alla comunità internazionale perché intervenisse a disarmare i carnefici e difendere gli inermi massacrati. Mai si è rivolto verso un mondo islamico che in genere umilia ogni minoranza, mai una sferzata contro il terrorismo islamista, mai ha chiesto esplicitamente quell'«ingerenza umanitaria» (concepita specialmente da Giovanni Paolo II) che disarmasse, anche con la forza, i carnefici e impedisse massacri come pure imploravano i vescovi dell'Iraq.  I quali patriarchi hanno gridato a gran voce che le proprie comunità venissero difese, con la forza, dal massacro incombente e hanno mosso una critica esplicita alla reticenza del Papa chiedendogli «un uso più audace della propria influenza per la causa dei cristiani iracheni». Ma Bergoglio è stato cauto e reticente, barcamenandosi senza esporsi. Siamo sicuri che di fronte alla tragedia dei cristiani (e delle altre minoranze) in Iraq non potesse assumere un atteggiamento più deciso come quello dei suoi predecessori o come il suo su altri temi? (…). Non si è vista nemmeno un'opera di vera sensibilizzazione della Chiesa intera, che mobilitasse la preghiera di tutti, che sollecitasse veglie, novene, digiuni (sono queste le armi dei cristiani) e un grande aiuto umanitario. Che controindicazioni c'erano su questo? Non se ne vedono davvero. C'era bisogno di dare conforto e aiuto concreto ai tanti cristiani perseguitati, umiliati, incarcerati, massacrati, ma papa Bergoglio invece ha continuato a confidare in un dialogo senza condizioni e senza precauzioni, esponendosi a dolorosi incidenti come quello dell'8 giugno 2014, quando ha chiamato a pregare in Vaticano, fra gli altri, un imam che, lì sul suolo bagnato dal sangue di tanti martiri cristiani, infischiandosene dei discorsi concordati, ha invocato Allah perché aiuti i musulmani a schiacciare gli infedeli («dacci la vittoria sui miscredenti»). (...). C'era bisogno di dire almeno una parola in difesa di giovani madri - come Meriam o Asia Bibi - condannate a morte nei regimi islamici per la loro fede cristiana o almeno si poteva chiedere di pregare per loro, ma papa Francesco non lo ha mai fatto, non ha nemmeno risposto all'appello mandatogli da Asia Bibi, mentre ha scritto personalmente un lungo messaggio di auguri agli islamici che digiunano per il Ramadan auspicando che esso porti loro «abbondanti frutti spirituali». (...). Si è venuti a scoprire peraltro che al tempo del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI (quello che è passato alla storia per aver fatto infuriare i musulmani), il portavoce dell'allora cardinale Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, criticò pubblicamente papa Ratzinger. Newsweek pubblicò le sue parole sotto il titolo «L'Arcidiocesi di Buenos Aires contro Benedetto XVI». Il portavoce dopo qualche tempo fu sollevato dall'incarico, ma molti si sono chiesti se e quando vi sia stata una sconfessione pubblica da parte del vescovo Bergoglio e un suo appoggio aperto al discorso pronunciato da Ratzinger a Ratisbona. (...). Alla luce di questi fatti si spiega l'atteggiamento attuale di papa Francesco nei confronti dell'Islam e degli islamisti del Califfato iracheno (carnefici di cristiani e di altre minoranze). Bergoglio, sempre così critico con i cattolici, non si contrappone mai nemmeno alle lobby laiciste sui temi della vita, del gender, dei principi non negoziabili che papa Benedetto individuò come pilastri della «dittatura del relativismo». (...). C'era (e c'è) bisogno di far accendere una luce per una generazione che è stata gettata nelle tenebre del nichilismo, che non sa più nemmeno distinguere il Bene dal Male perché le hanno insegnato che non esistono e che ognuno può fare quello che gli pare. Purtroppo papa Bergoglio rischia di assecondare proprio questa tragica deriva dicendo anch'egli che «ciascuno ha una sua idea di bene e di male» e «noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene». C'era e c'è bisogno di annunciare Cristo, nostra speranza e vera felicità della vita, a una generazione che non sa nemmeno più chi è Gesù e non sa che farsene della propria giovinezza e dell'esistenza. E rischia di essere fuorviante sentir dire da papa Bergoglio che «il proselitismo è una solenne sciocchezza» e che lui non ha «nessuna intenzione» di convertire i suoi interlocutori. Certo, ha ragione quando ricorda che il cristianesimo si comunica «per attrazione», ma l'ardore missionario ci è stato testimoniato dai santi e «fare proselitismo» è il comandamento di Gesù ai suoi apostoli: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).  Non si può dimenticare questo precetto evangelico, che indica il vero, grande compito della vita, per avere il plauso dei ricchi e potenti salotti snob e anticattolici della Repubblica. Dove tutti ora esultano ritenendo di avere finalmente un Papa «scalfariano». C'è un gran bisogno di portare la carezza del Nazareno a chi è solo, malato, sofferente o disperato ed è molto doloroso veder «saltare» all'ultimo momento la visita del Papa all'ospedale Gemelli con i malati in attesa sotto il sole (loro, le cui piaghe sono le piaghe di Cristo), mentre si trovano facilmente ore da dedicare a Scalfari, o si trova il tempo per telefonare a Marco Pannella o a Maradona e andare di persona a Caserta solo per incontrare l'amico pastore protestante. (…) Bergoglio - secondo i suoi fan più sfegatati - sarebbe un rivoluzionario che intende sovvertire la Chiesa cattolica, eliminando i dogmi della fede e buttando alle ortiche secoli di magistero. Cosa significherebbe e cosa comporterebbe tutto questo? Se fosse vero la Chiesa sarebbe alla vigilia di una drammatica esplosione. È così? Vorrà scongiurarlo, padre Bergoglio? Vorrà tornare sulla strada dove un giorno, da giovane (lo ha raccontato una volta e mi ha commosso), incontrò gli occhi di Gesù? Vorrà ricercare quel suo sguardo e in Lui ritrovare tutti noi? di Antonio Socci

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