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Le confessioni di un minatore sardo: così ho vissuto e prendo la pensione senza aver mai lavorato

Giulio Bucchi
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Ieri su La nuova Sardegna, storico quotidiano dell'isola, il cronista Mauro Lissia ha intervistato il signor Carlo Cani. In arte Charlie Dogs (perché ha l'hobby del jazz), il signor Cani è - stando al giornalista - «un giovane sessantenne che sprizza energia da ogni poro». E questo nonostante sia stato minatore del Sulcis per ben 35 anni. Un lavoro che dovrebbe consumare chi lo fa, ma non in questo caso. Come recita il titolo del pezzo, Cani ha un segreto: «Io, in pensione senza aver mai lavorato». Scrive il reporter: «Ti aspetti un uomo stanco, perché nel Sulcis lo sanno: è difficile la vita del minatore. Fatica, sudore a fiumi nelle gallerie sotterranee, polvere che ti fodera la pelle e ti toglie il respiro, il pericolo sempre dietro l'angolo». Carlo spiega «con un sorriso contagioso» che il suo segreto di vitalità è semplice: «Nel 2006 sono andato in pensione con trentacinque anni di anzianità, ma praticamente non ho lavorato mai». L'intervistatore se lo chiede: «Mai?». E quello conferma: «Quasi mai, là sotto stavo troppo male. Sin dall'inizio io e il carbone non abbiamo legato. E allora andavo dai medici - ride (e questa ilarità sarà ricorrente nell'intervista, ndr) - chiedevo cure, capivano, mi accontentavano. Fino alla cassa integrazione. Era il 1993, una liberazione. Poi la mobilità e addio». Parla della sua carriera come fosse un capolavoro. Ma non ci sta a passare da «assenteista». Charlie si sente «più che altro assente, per ragioni certificate». Men che meno lavativo: «Termine inappropriato, possiamo dire che alla miniera ho sempre preferito musica jazz e corse in salita». Alla faccia di voi babbei che andate a lavorare ogni mattina. Il giornalista sardo tira le somme: «Ventisei anni di servizio alla Carbosulcis, pozzo di Seruci. Ventisei anni trascorsi tra malattie d'ogni tipo, cassa integrazione e mobilità. Alla fine il diritto alla pensione con lo scivolo lungo, quello che matura chi ha svolto sino in fondo un lavoro considerato usurante. I conti tornano: una vicenda un po' fuori dalle regole, ma dentro il perimetro della legittimità». E poi ci si chiede perché l'Italia vada male. Segue biografia del personaggio: «Prima di tutto il nome: Carlo Cani, ex minatore pentito di Santadi, universalmente conosciuto come Charlie Dogs. A ribattezzarlo così fu Lester Bowie, compianto trombettista d'avanguardia scomparso nel 1999». Rivela Cani: «Eravamo amici, l'andavo a prendere all'aeroporto quando veniva a Sant'Anna Arresi, per il festival». Di tempo per far da autista alla star ne aveva, e più avanti nell'articolo si capisce perché: «Meglio il suono del sax che quello del motopicco, la musica ha sempre alimentato la mia creatività - argomenta - anche quando mi presentavo all'Inail per i controlli sanitari». Avete capito bene: «Creatività e Inail nella stessa frase». E via con un altro salto indietro nel tempo: «Era il 1980 - ricorda Cani - e al mio paese, Santadi, spettava un'assunzione in Carbosulcis. Il primo nella graduatoria, all'ufficio di collocamento, non ne volle sapere. Purtroppo ero il secondo e chiamarono me». Purtroppo. Lo chiamarono, «purtroppo», perché il lavoro è una sfiga che colpisce quando meno te l'aspetti. Iniziano così le sue avventure professionali, delle quali il jazzista-assenteista fornisce ampio resoconto a La nuova Sardegna: infine maturò la decisione: «Mio padre Luigi, che adesso ha 95 anni, era minatore alla vecchia Carbosarda. Minatore vero, come quelli dei suoi tempi. Io non ero entusiasta (...) Non che mi divertissi, però in quel momento mi pareva un gioco... il casco, l'attrezzatura, sarà che ero un ragazzo, il brutto è venuto dopo». Ovvero «le prime discese di prova e con quelle la claustrofobia, attacchi di panico che Charlie non faceva nulla per combattere, una sorta di alibi naturale». Ancora l'ex minatore: «Il sottosuolo, non ci avevo mai pensato... No no, per me era impossibile farcela, quel buio, mi mancava il respiro». Così - scrive il giornale sardo - «Charlie marca visita, diventa ospite fisso degli ambulatori medici». E lui conferma: «Mi inventavo di tutto, amnesie, dolori, emorroidi, camminavo sbandando come fossi ubriaco. O forse, a pensarci bene, qualche volta lo ero davvero. Mi capitava di urtare la parete con un pollice, impossibile lavorare con un pollice gonfio. Altre volte mi finiva la polvere in un occhio, avevo sempre un occhio pieno di polvere (ride)». Ecco, torna l'ilarità. Poi rincara la dose: «E il collo, mesi passati con il collare per tenere a bada una maledettissima cervicale. Ma la verità è che non ce la facevo, la miniera non era roba per me». Una volta riuscirono a farlo lavorare: «Rientrai da un periodo di malattia - spiega - e mi ordinarono di presidiare la sala pompa, novanta metri sotto terra. Si trattava di ruotare un rubinetto per regolare il livello dell'acqua, se per caso l'avessi visto scendere o salire troppo. Ore ed ore disteso là, di fronte a quel rubinetto. Mi prese il sonno, mi svegliò lo scroscio dell'acqua che aveva invaso tutto, il caschetto che galleggiava... un casino». Il reporter svela che fu «sbattuto nel piazzale, a pulire le aiuole». Ma Cani era un professioniasta: «Lavoretto leggero, ma solo per qualche giorno, non stavo bene...». E giù di «riposo, convalescenza, fisioterapie in sequenza ininterrotta». Anni dopo, nuovo incarico. Racconta Dogs: «Eravamo in tre e il caposquadra ci disse che dovevamo scavare un foro settanta per settanta. Ma c'era un problema, nessuno sapeva come fare. Alla fine presi il motopicco e diedi una smossa alla terra, i compagni mi guardavano come fossi pazzo. Il sorvegliante tornò e chiese dove fosse il buco. La mia risposta? (ride) Era qua, lo vedi, ma tu non tornavi e l'abbiamo ricoperto per ragioni di sicurezza». Quella, scrive il giornalista «per Charlie l'improvvisatore, fu l'ultima incombenza della carriera da minatore. Seguirono 13 anni di cassa integrazione, a partire dal 1993». E via con le risate: «Io ci scherzo su - confessa Carletto - perché la mia è stata una storia strana ma laggiù, sotto terra, c'è gente che si è spaccata la schiena per anni e anni, gente che il salario se l'è guadagnato col sudore. Io li rispetto ma sono diverso (riprende a ridere), sono un minatore-jazz». Dopo la cassa integrazione, la mobilità, che il protagonista di quesa vicenda surreale ha accolto come una miracolo, come dice lui stesso: «Per me è stata la fine di un incubo, due anni e mezzo così e l'avvio delle pratiche per la pensione. Quello del minatore è considerato lavoro usurante, mi hanno dato lo scivolo e il conto finale ha fatto trentacinque, sono trentacinque anni di anzianità. Pensionato a cinquantadue anni». L'età giusta, scrive La nuova Sardegna «per dedicarsi alla musica nera e alle corse in salita, altra passione di Charli». Lui chiude l'intervista col botto: «Sono stato fortunato? Mah, diciamo che a mio modo ho superato le difficoltà. In fondo la vita va presa come viene, si tratta di trovare soluzioni». E il lavoro? «Il lavoro, parola importante. Il lavoro... diciamo che lo guardo con rispetto».

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