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E' morto Luigi Gorrini, top gun dell'“Asso di Bastoni” dell'Anr

Giulio Bucchi
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"Anche tra loro (i partigiani, ndr) c'era gente onesta, che aveva capito che noi eravamo lì a difendere le città italiane dagli aerei alleati", aveva spiegato l'asso della caccia italiana Luigi Gorrini a Marco Petrelli, nel corso di una delle ultime interviste rilasciate. Classe 1917, una Medaglia d'Oro al Valor Militare e oltre venti aerei nemici abbattuti dal 1940 al 1945, Gorrini è stato uno dei piloti più audaci del I Gruppo Caccia Terrestre "Asso di Bastoni" dell'ANR, l'aviazione della Repubblica di Salò. Vi proponiamo di seguito l'incontro tra Petrelli e Gorrini dell'aprile 2014, ad Alseno. L'intervista è contenuta nel libro di Marco Petrelli A difendere i cieli d'Italia – Racconti e testimonianze dei piloti dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana, 1943-1945. La spider di Silvia “Luigi, vieni che c'è un giornalista che vuole intervistarti!". "Silvia la Barchetta, dobbiamo rimetterla in sesto" Emiliano, classe 1917, Medaglia d'Oro al Valor Militare e oltre venti abbattimenti accreditati, Luigi Gorrini è, a tutti gli effetti, un “Asso” dell'aviazione. Lo incontro verso la metà di Aprile nella sua casa di Alseno, a pochi chilometri da Fidenza. Ho preso appuntamento con lui tramite la nipote Silvia Bonomini, insegnante trentacinquenne di Storia dell'Arte. E' il primo pomeriggio e il sole batte sulla campagna emiliana. Fa davvero caldo e le quattro ore di viaggio in treno da Ancona cominciano a farsi sentire. “Aspettami qui un attimo” fa Silvia di fronte al cancello. “Alle volte capita che non voglia vedere nessuno, neanche noi che siamo i familiari”. Per un istante temo di aver fatto tanta strada a vuoto, d'altronde del carattere un po' “particolare” di Gorrini mi avevano già parlato all'Ufficio Storico dell'Aeronautica quando avevo mostrato interesse alla sua storia. Incrocio le dita; ho avuta fortuna: il pilota c'è, lo intravedo in fondo ad un garage mentre segue con gli occhi i nipoti che armeggiano sul motore di un'auto. “Tuo zio è rimasto legato alla vita militare” dico a Silvia indicando il piccolo avio getto “posteggiato” in fondo al giardino. “Un regalo dell'Aeronautica – fa lei – gli è stato portato alcuni anni fa”. Gorrini mi vede ma resta in silenzio. Sa che sono lì per intervistarlo ma la sua attenzione è per una piccola spider: “La tua Barchetta Silvia, va rimessa in sesto” dice alla nipote, per poi allontanarsi. Come successo con Arpino, non ho idea di quale sia il modo migliore di porsi con l'anziano aviatore. Una cosa è certa: evito di farmi avanti con invadenza, di corrergli incontro a celebrarlo. E' vero che Gorrini è abituato ai giornalisti, ma temo di passare per uno troppo cerimonioso. Sto al mio posto e lascio a lui la prima mossa. Ad un tratto si ferma e mi fissa. Me ne accorgo e ne approfitto per tentare un approccio: “Un MB326 vero?” gli chiedo appoggiando la mano sul muso dell'aereo. Tace, con in volto l'espressione di chi ha appena sentito un'ovvietà. E io sorrido: ho perso un'occasione per stare zitto. Silvia fa cenno di avvicinarmi ad una piccola stanza che dà direttamente sul giardino. Butto un'occhiata nell'anticamera e scorgo pareti coperte di cimeli, crest, foto e dipinti di aerei della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra. Sull'appendiabiti ci sono un bomber di pelle e un casco bianco da jet, di quelli visti e rivisti nei film alla Top Gun. Luigi si fa vivo dopo qualche minuto e mi fa accomodare nel suo studio. E' una stanza priva di finestre, illuminata dalla luce che passa dalla porta d'ingresso. Un angolo di paradiso per qualsiasi appassionato di storia del volo. “Ho cominciato a volare subito dopo l' 8 Settembre. Ero nel I Gruppo “Asso di Bastoni” di Adriano Visconti”. E che col II Gruppo c'entri poco mi dà ulteriore conferma nel corso dell'intervista, quando gli mostro alcune foto: “Tutta gente del II Gruppo C.T. “Gigi Tre Osei”, sì li ho visti, li ho anche conosciuti forse, ma come le ho detto ero nel I Gruppo C.T.". Sulla scrivania ci sono pile di libri e oggetti di ogni tipo, anche 90uno strano orologio con grande quadrante e uno spesso cinturino di cuoio marrone. “E' una bussola. Faceva parte dell'equipaggiamento della Luftwaffe. Furono i tedeschi a donarmela. Ho volato molto con loro anche prima dell'Armistizio. Ero molto amico del capitano Eduard Neumann”. E invece con la resistenza ci furono problemi? “No, con i partigiani non ci furono problemi, anzi non le nascondo che mi salvarono la vita”. Davvero? “Eh sì! Fu quando abbatterono il povero Magnaghi (Carlo Magnaghi, maresciallo maggiore pilota, deceduto il 13 Maggio 1944, nda). Il maggiore Visconti mi dice che sta arrivando una troupe cinematografica e che devo restare a terra, cedendo così il posto a Magnaghi il quale, nella fretta di decollare, si dimentica di collegare il cavo radio. Mentre faceva volo acrobatico sopra Reggio Emilia gli si fiondano addosso i P38. I caccia nemici aprono il fuoco e lo beccano ad una gamba. Lui non demorde e si lancia col paracadute. Quando lo vado a trovare in infermeria, Magnaghi mi chiede di togliergli la scarpa perché il piede sinistro gli fa male. Sollevo il lenzuolo e mi accorgo che non ha più il piede: lui allora si fa una matta risata. Il medico militare mi prende da una parte e mi chiede andare a recuperare una bombola d'ossigeno alle Farmacie riunite di Reggio Emilia, usando la mia macchina”. Aveva un'automobile? “Sì e non era una vettura di servizio, ma proprio mia! Era una Balilla da corsa, che avevo acquistato dal capo ufficio della Reggiane. Il mio comandante talvolta se ne serviva per andare a prendere la Franca, la sua fidanzata che faceva la barista in città. Mi metto alla guida ancora in divisa; poi, nei pressi di Reggio Emilia vedo una lampada che si muove. E' un posto di blocco dei partigiani. Uno di loro mi fa: “E tu dove vai?” Spiego che sto andando a prendere dell'ossigeno per il mio collega perché è ridotto male. E loro mi fanno passare: “Dai, fai svelto, vai! Al ritorno li ho rincontrati: “Dai dai e tanti auguri!” No, a me i partigiani non hanno dato noie”. Fu quello l'unico incontro con i ribelli? “Sì, peraltro di notte e con me in divisa. E non successe nulla. Anche tra loro c'era gente onesta, che aveva capito che noi eravamo lì a difendere le città italiane dagli aerei alleati“. Non avete mai subito azioni di sabotaggio degli apparecchi e del materiale? “Quello purtroppo è successo. Sono stati sabotati gli aeroplani e anche i paracadute, con alcuni dei nostri che ci hanno lasciato le penne”. Quanto all'attività di caccia, Gorrini conferma quello che mi aveva già raccontato Baldi: “Ci trovavamo di fronte decine e decine di apparecchi nemici e noi eravamo nettamente inferiori di numero rispetto agli Alleati. Poteva accadere che si fosse una ventina dell'ANR contro un centinaio tra bombardieri e caccia anglo-americani. Accadeva che per uno nuovo che arrivava al Gruppo due non tornavano dall'azione; e il giorno dopo ancora ne uscivano altri due e li abbattevano”. Per quanti anni ha servito in Aeronautica? “Trent'anni di servizio effettivo. Poi, per diverso tempo, ho ricoperto l'incarico di presidente dell'Associazione (A.A.A. – Associazione Arma Aeronautica, ndr)”. Nel dopoguerra ha mantenuto contatti con alcuni colleghi? “Con i tedeschi, alcuni dei quali li ho conosciuti dapprima in Africa e poi ritrovati in Italia”. Come già accennato, il rapporto tra Gorrini e il personale della Luftwaffe è piuttosto stretto, non per vincoli ideologici ma di cameratismo militare. E il livello di confidenza con i tedeschi lo sottolinea un episodio che Luigi stesso mi racconta: “Ebbi da ridire con Neummann: i tedeschi sostenevano che il loro asso fosse morto in combattimento, invece no, non c'entravano gli aerei nemici” L'asso in questione è Hans Joachim Marseille, uno tra più grandi piloti della storia dell'aviazione. Classe 1919, a vent'anni si arruola nella Luftwaffe. Consegue le prime vittorie nel corso della Battaglia d'Inghilterra. A ventitré anni può già vantare 158 vittorie aeree e la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti. La fortuna gli volta le spalle nel Settembre 1942: durante un volo, un guasto al motore lo costringe a lanciarsi; Marseille finisce contro la coda dell'apparecchio, un colpo secco che lo uccide all'istante. Ma i suoi commilitoni pretendono che la morte si avvenuta in azione. Ancora Gorrini: “Marseille, anziché portare su l'aeroplano, porsi in volo rovesciato, spingere in avanti la cloche e andare fuori, si è alzato in piedi sul seggiolino e si è lanciato. Le corde del paracadute si sono impigliate nei timoni e lui è andato giù ed è morto, poveraccio!” Una versione che il pilota ha ribadito anche in altre occasioni a chi lo ha intervistato sul decesso del collega germanico. La chiacchierata va avanti ma un nome che gli sfugge e un suo momento di nervosismo mi ricordano che novantasette anni sono tanti anche per un asso come lui. Senza proferir parola Luigi si alza dalla poltrona e scivola nell'altra ala del suo studio, dove fogli, volumi e quadri sembrano esserne l'unico arredamento. Ne approfitto per scattargli due foto: lui si volta, mi guarda per un istante. Ha un'espressione molto umana, della persona stanca che forse non ne può più neanche di ripetere storie che gli italiani hanno dimenticato nel corso dei decenni. Mi allunga un documento, una copia della motivazione della 94sua MOVM ricevuta negli Anni Cinquanta. Sul retro sono indicati numero e date degli abbattimenti (24) e tipo dei velivoli abbattuti durante dal 1940 al 1945. Ma, per lui come per altri, il periodo col I Gruppo Caccia Terrestre non ha avuto valore in termini di anzianità e avanzamento dello stato di servizio. Gorrini, sottufficiale al termine delle ostilità, si è congedato nel 1975 con il grado di tenente. Ho avuto la fortuna di ascoltare i racconti di uno degli ultimi assi della caccia italiana, pilota di quell'aviazione fatta di motori a pistoni, mitragliatrici sub alari e con apparecchiature di bordo ridotte all'osso. Non mi resta che concludere con una foto, che allego a questo diario come modesta, ma significativa testimonianza del passato che ho cercato di ricostruire.  

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