Il marito di Elena Ceste è vigile del Fuoco "e sa come nascondere un corpo"
Quando Michele Buoninconti - pochi giorni dopo la scomparsa di Elena Ceste - in un'intervista tv spiegò che «faccio il vigile del fuoco, so trovare le persone», probabilmente era convinto di giocare una carta a suo favore. Di far credere che, preoccupato, stava facendo di tutto per rintracciare sua moglie, andata via di casa volontariamente (secondo la sua teoria) la mattina del 24 gennaio 2014. E che, appunto, la professione di pompiere sarebbe stata una garanzia in tutto questo. Non è andata così. Perché proprio dopo aver ascoltato quelle parole i più maliziosi hanno pensato che chi «sa trovare le persone» le sa anche nascondere. Ma soprattutto, perché ora i giudici che l'hanno fatto arrestare per omicidio premeditato e occultamento di cadavere (ieri il gip Giacomo Marson, che lunedì l'aveva interrogato nel carcere di Asti, ha respinto la richiesta di scarcerazione) basano buona parte dell'accusa sulle contraddizioni e intercettazioni legate proprio alla professione. La prima contestazione - nell'ordinanza di custodia cautelare emessa la scorsa settimana - riguarda lo strano percorso che l'uomo avrebbe effettuato la mattina della scomparsa della moglie («...ipotizzando l'innocenza dell'indagato...non si comprende la ragione per cui un soggetto addestrato per professione... si sia comportato in maniera cosi palesemente incoerente») e la decisione poi di andare fino a Govone («...nella sue veste di Vigile del fuoco» era «perfettamente conscio delle modalità di ricerca» quando avviate «a neppure un'ora dall'allontanamento», eppure dopo un solo percorso vicino alla propria abitazione si è allontanato fino a Govone e ha «pure incaricato una vicina di casa» di «continuare le ricerche nei luoghi che era maggiormente logico esplorare»). Non solo. «Anche la movimentazione di un corpo morto... costituisce una delle competenze certamente maturate dall'indagato nello svolgimento della sua professione di vigile del fuoco». Già, l'esperienza. Ma c'è anche altro. Secondo l'accusa Buoninconti, per la scelta del posto in cui nascondere il corpo della moglie, avrebbe sfruttato informazioni accessibili solo agli addetti ai lavori, cioè «...i piani operativi relativi alla ricerca di persone scomparse. Attesa la professione svolta dall'indagato, è logico ritenere che anch'egli fosse perfettamente a conoscenza delle procedure. Non può allora ignorarsi che la scelta del luogo di occultamento del cadavere risponde perfettamente ai criteri codificati per essere trascurata nel caso di ricerca di una persona scomparsa» (zone impraticabili e irraggiungibili da camminamento). Poi le intercettazioni delle telefonate con i colleghi. Buoninconti commenta le attività di ricerca riferendo le abitudini della moglie («non c'è mai andata nelle strade di campagne»): secondo i giudici aveva «l'intento di evitare che venissero nuovamente esplorati i luoghi che egli sapeva benissimo essere quelli in cui si trovava il cadavere». E ad un certo punto, quando il collega dice «c'era un posto lì ad Isola alla Chiappa in un campo, c'era un posto dietro a un cespuglio che tu lo vedi dalla strada non sai neanche che c'è, capisci?», la comunicazione si interrompe bruscamente. Non a caso, secondo l'accusa, che ipotizza che Buoninconti, sentendo pronunciare «l'esatta località in cui era nascosto il cadavere...non trova di meglio da fare che simulare un'interruzione forzata della comunicazione». Poi, richiamato, «liquidava il collega» invitandolo «a parlare “da vicino”». Alessandro Dell'Orto