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Vatileaks, Francesca Immacolata Chaouqui: la "papessa" di origine marocchina che dava consigli a Matteo Renzi

Andrea Tempestini
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Ambiziosa, esplosiva, controversa, Francesca Immacolata Chaouqui, 33 anni, aspirava a entrare in tutte le stanze più segrete del Vaticano. È riuscita a visitarne perfino le carceri. Vi ha trascorso soltanto una notte, quanto basta a consacrarla definitivamente come la «papessa». È il nomignolo che lei stessa diffondeva dal suo profilo Facebook, rispondendo ironicamente ai tanti denigratori che l'accusavano di essere una denigratrice. Lei negava. Se dal suo profilo Twitter partivano strali contro l'allora segretario di Stato della Santa Sede, mons. Tarcisio Bertone o l'ex ministro dell'Economia italiano, Giulio Tremonti o rivelazioni tipo «Ratzinger ha la leucemia», rispondeva che le era stato hackerato l'account. In pratica, sostiene di essere stata vittima di una sottrazione d'identità. Certo, la personalità della Chaouqui è complessa e si presta volentieri al gioco degli equivoci. Nata in Calabria, a San Sosti in provincia di Cosenza, da madre italiana e padre francese di origini marocchine che poi abbandonerà la famiglia. Si laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma e sposa un informatico, Corrado Lanino, che ha una lunga esperienza di lavoro proprio all'interno delle istituzioni vaticane. Lei invece fa la lobbyista, anzi l'esperta di pubbliche relazioni per lo studio Orrick Herrington & Sutcliffe, dove segue con particolare interesse un cliente, il finanziere Alessandro Proto che tenterà di scalare diverse società per poi rivelarsi un bluff. A suo favore, promuove un'offerta per l'acquisizione del quotidiano Pubblico. L'affare va in porto il 13 febbraio 2013, il giorno precedente l'incarcerazione di Proto per aggiotaggio. A marzo, la Chaouqui passa alla Ernst & Young in Italia. Nel frattempo, Papa Benedetto XVI si è dimesso. E la Chaouqui acquista notorietà con l'incarico conferitole da Papa Francesco, che la chiama nel luglio del 2013 a far parte della Cosea, la Commissione referente di studio e indirizzo sull'organizzazione delle strutture economiche e amministrative della Santa Sede, guidata dallo spagnolo monsignor Lucio Angel Vallejo Balda. Per pura coincidenza, il 25 agosto l'associazione americana Go-Topless la premia per aver posato per un servizio fotografico senza veli, benché rigorosamente in compagnia del marito. Evidentemente, il Vaticano non le basta. Il 24 ottobre 2014 comunica urbi et orbi via Twitter che sarà alla convention del Pd, per sostenere Matteo Renzi: «Io domani vado alla #Leopolda5 a cercare di costruire qualcosa, non al corteo ad urlare». Quale che sia stato il suo contributo, soddisfatta fa da cassa di risonanza alle parole dello stesso Renzi, di Luca Lotti, di Davide Serra, di Marianna Madia e di Beatrice Lorenzin. Eppure continua a proclamare la sua incondizionata fedeltà al Pontefice. In un tweet del 14 luglio 2014 gli augura «buon viaggio a te che sei la persona più grande che conosca. Ti voglio bene, capo». Per le questioni più fastidiose, invece, si affida all'avvocato Giulia Bongiorno. Anche domenica l'ha nominata come suo difensore, dopo essere stata arrestata dalla gendarmeria vaticana per fuga di notizie. Una scelta oculata, visto che la Chaouqui è stata rilasciata per aver collaborato con la giustizia e per mancanza di estremi cautelari. In ogni caso, sottolinea la sua legale, «il fatto che il mio cliente stia collaborando non significa che si sita autoaccusando, ma semplicemente che sta fornendo materiale utile alle indagini». Anzi, il contributo che ha fornito alle indagini è stato «ritenuto apprezzabile», tanto che «è già tornata a casa e nei prossimi giorni chiarirà la sua posizione. Sono stati anche depositati dei documenti». Ne erano già stati depositati troppi, in realtà. E con le stesse modalità con le quali erano state diffuse le carte di Benedetto XVI. All'epoca del primo Vatileaks, nel 2012, fu accusato il maggiordomo pontificio Paolo Gabriele ma lo scopo reale era mettere in cattiva luce monsignor Georg Gaenswein, il segretario del Papa. Stavolta, nel mirino ci sono altri. Ma i mandanti sembrano essere sempre gli stessi. di Andrea Morigi

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