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Renzi e Padoan raschiano il barile: ci tasseranno le sigarette

Giulio Bucchi
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Fumare è sempre più caro. Se ne parlava da almeno sei mesi e alla fine sulle sigarette sono piombate altre tasse. Stavolta la direttiva è firmata dal ministero dell'Economia e delle Finanze, guidato da Pier Carlo Padoan, e prevede un prelievo aggiuntivo di 0,54 euro per chilo di tabacco commercializzato. Il conto è presto fatto. In Italia si vendono e acquistano tra i 30 e i 33 milioni di chilogrammi ogni anno. Il che significa che il gettito aggiuntivo previsto viaggia tra i 16 e i 18 milioni di euro. Spiccioli rispetto ai circa 10 miliardi di tasse complessive incassate di media negli ultimi anni. E poco rispetto alle bozze di direttiva circolate negli ultimi mesi. Alcune delle quali prevedevano un extra-gettito anche di 250 milioni di euro. Ma tanto in tempi di crisi. Al di là dei tecnicismi, ciò che più conta è che quest'ultimo intervento andrà a premere sulla fascia low cost di sigarette. Quelle che costano intorno ai 4 euro. Se i produttori non riusciranno ad assorbire le maggiori imposte, ai fumatori verrà chiesto di sborsare tra il centesimo e i 10 centesimi in più. L'intervento del Mef rientra nella rimodulazione fiscale avviata nel 2014 che - toccando anche il prezzo medio ponderato - ha consentito nel 2015 di far entrare nelle casse dello Stato circa 200 milioni in più rispetto ai dodici mesi precedenti. Nel tentativo di bilanciare i 300 persi rispetto al 2012. L'obiettivo per il nostro Fisco è chiaro. Indipendentemente da come vada il mondo e da come soffrano le famiglie italiane, il gettito non può e non deve diminuire. Stavolta si è però voluto mantenere un equilibrio. Un forte aumento del costo delle bionde di fascia bassa, infatti, avrebbe fatto schizzare all'insù la percentuale di contrabbando. E quindi, a fine anno, azzerato i benefici per l'erario. Chi acquista infatti le sigarette meno costose di fronte a un aumento o smette di fumare o si rivolge al mercato nero. Recenti stime, promosse a un convegno sulla contraffazione organizzato a Roma in collaborazione con l'Ambasciata di Ungheria parlano addirittura di un 7% del mercato. Se questi dati fossero confermati, una tale fetta di mercato sottratta alla fiscalità generale significherebbe centinaia di milioni in meno di tasse. Una manovrina, che oggi nessuno si può permettere. Non solo. Dietro l'aumento appena deciso dal Mef ci sono anche altre logiche molto complicate e legate alle lobby. Poche settimane fa è scattata la nuova aliquota fiscale per i prodotti di fascia media e alta. L'aumento è frutto di un automatismo introdotto nel dicembre 2014. Con quella norma si erano salvate dall'aumento fiscale tutte le sigarette a basso prezzo. Motivo per cui sono scattate le pressioni da parte dei produttori interessati perché il governo pareggiasse i conti. «Questa evidente asimmetria tra la tassazione delle sigarette più care e quelle a basso prezzo ovviamente non è sfuggita ai tecnici del Tesoro, ma la soluzione finora maturata dagli uffici pare finora orientata a salvaguardare gli interessi degli operatori privilegiati. Così, nonostante numerose analisi abbiano individuato in dieci centesimi per pacchetto il punto di equilibrio, il topolino partorito dagli uomini di Padoan porta in dote un solo centesimo a pacchetto», scriveva giovedì La Notizia Giornale. Forse un po' sbrigativamente. In realtà è ancora presto per capire se non si andrà a scatenare un aumento medio di 10 cent per le low cost. Ma soprattutto non si può non ignorare la teoria dei vasi comunicanti. Se si alza da un lato, dall'altro il gettito cala perché cresce il mercato nero. E alla fine l'unica cosa che interessa allo Stato è far cassa. Soprattutto quando l'Europa continua giustamente a tirarci le orecchie su spesa e debito. di Claudio Antonelli

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