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Spending review. la Corte costituzionale salva gli sprechi regionali

La Corte di cassazione

Dopo aver salvato le Province e aver bocciato i tagli su stipendi e pensioni d'oro, le toghe bloccano l'accorpamento delle società partecipate

Giulio Bucchi
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In fondo nel Paese in cui un governo ha l'ardore - e l'ardire - di battezzare del Fare un decreto, c'è sempre la speranza di fare a modo proprio. In fondo c'è sempre un magistrato, un Tar, una Consulta, pronta ad accogliere un ricorso. Che riporta tutto a zero. Anche quelle azioni della politica che muovono nella direzione indicata dai cittadini. E dal buonsenso, soprattutto in  tempi di  crisi. Stavolta è toccato, in modo particolare, alle Regioni evitare la mannaia  dei tagli. La  prossima chissà. E così la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma del decreto legge sulla spending review che prevedeva che Regioni, Province e Comuni sopprimessero o accorpassero enti, agenzie e organismi comunque denominati per contenere le spese. La via indicata era quella della privatizzazione o della loro dismissione. Invece tutto resta come prima. «Sopprime in modo indistinto tutti gli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite di Province e Comuni senza che questi siano sufficientemente individuati», si legge nella sentenza 236 della Consulta che ha giudicato fondati i rilievi avanzati dalle regioni Veneto, Lazio, Sardegna e Friuli Venezia Giulia. Secondo quel provvedimento Regioni, Province e Comuni dovevano sopprimere o accorpare o, in ogni caso, ridurre del 20% gli oneri finanziari di enti, agenzie e organismi comunque denominati e trascorsi i nove mesi dall'approvazione del decreto dovevano essere soppressi tutti gli enti a cui non fossero stati applicati i tagli.  Ma l'Italia dei mille campanili si è rivelata più forte dei tagli e del buonsenso. La Corte Costituzionale, infatti, ha ritenuto che in questo modo si rischia un soppressione di enti in maniera indistinta, fra i quali vi sarebbero anche strutture strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite di Province e Comuni senza che questi siano individuati. «L'automatica soppressione di enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che esercitano, anche in via strumentale, funzioni nell'ambito delle competenze spettanti ai Comuni, Province e Città metropolitane», sostengono i giudici della Consulta, «prima che tali enti locali abbiano proceduto alla necessaria riorganizzazione, pone a rischio lo svolgimento delle funzioni stesse, rischio aggravato dalla previsione delle nullità di tutti gli atti adottati successivamente allo scadere del termine». Quindi «la difficoltà di individuare quali siano gli enti strumentali effettivamente soppressi e la necessità per gli enti locali di riorganizzare i servizi e le funzioni da questi svolte rendono il decreto sulla spending review manifestamente irragionevole». Un'affermazione, quella contenuta nella sentenza della Consulta, che lascia interdetti. E come dire che ogni tentativo di razionalizzazione intrapreso dalla politica è un atto folle, «irragionevole» appunto. Quando, in realtà, l'irragionevolezza è il mantenere in vita strutture inutili e pletoriche, se non addirittura dei doppioni.  Sia pur in modo del tutto indiretto, una risposta alla sentenza della Consulta è arrivata dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, in occasione dell'incontro con i vertici  dell'Agenzia delle Entrate. «Vedo con quanta faciloneria si usano le risorse pubbliche», dice il premier, che ha evidenziato la necessità di rilanciare la spending review e «andare a scovare le tante sacche di improduttività e inefficienza». Fino a quando un giudice, un Tar, una Consulta, non riporta tutto al punto di partenza. di Enrico Paoli

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