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Terrorismo, "evirate gli infedeli italiani": l'islamico intercettato, come vogliono ammazzarci

Andrea Tempestini
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La minaccia jihadista nel nostro Paese non è mai stata elevata come in questi giorni pasquali: il capo del Viminale non fa che ripeterlo. Mettendo Roma in cima alla lista degli obiettivi da colpire. Allarme dunque. E arresti a giorni alterni. Martedì Foggia. Mercoledì Torino. Ieri mattina retata a Latina. Lupi solitari pronti a colpire, se non fosse che alcuni di questi “pluri-arrestati” sono già in cella per la stessa ragione. Immigrati di seconda generazione, con cittadinanza italiana. Dal Piemonte a Bari, passando per Ferrara. Giovani fra i venti e trent'anni, di sangue straniero, che frequentano le nostre scuole o hanno lavorato nelle fabbriche del Nord, prima del blackout improvviso: il buco nero che li separa dalla cosiddetta jihadosfera. È questo il profilo degli ultimi arrestati. Cominciano col predicare messaggi di un islam violento, e traducono sermoni aberranti e inneggiano via web alla causa di Allah. Poi passano all'azione.  Li abbiamo visti colpire in mezza Europa. E non ce n'è uno, di questi attentatori, che non sia passato o non abbia avuto appoggi in Italia. Uno di loro, il terrorista che oltre un anno fa ha fatto strage al mercatino di Natale a Berlino, è morto il 23 dicembre in un conflitto a fuoco con la polizia. È successo a ridosso della stazione di Sesto San Giovanni. Milano. E sono proprio i “soldati” della sua rete, i cinque arrestati ieri a Latina. L'antiterrorismo ha ricostruito il circuito di relazioni di cui godeva nel nostro Paese, proprio Anis Amri, tunisino, 23 anni.  LE RELAZIONI DI ANIS Lui: l'attentatore di Natale 2016, era stato ospitato ad Aprilia da un connazionale, prima di raggiungere la Germania nel luglio 2015. Nella strage di Berlino sono morti dodici innocenti, compresa Fabrizia Di Lorenzo, 31 anni, abruzzese. Il gip Costantino De Robbio, su richiesta del pm Sergio Colaiocco, ha firmato i cinque arresti e l'ordine di perquisire case e strutture a Latina, Roma, Caserta, Napoli, Matera e Viterbo. Hanno sequestrato migliaia di documenti. Tra i fermati ci sono il palestinese 38enne Abdel Salem Napulsi, già a Rebibbia per spaccio, e 4 tunisini che abitavano a Napoli e nel Casertano. Il primo è sotto inchiesta per «addestramento ad attività e condotte con finalità di terrorismo», gli altri (Baazaoui Akram di 32 anni, Baazaoui Mohamed, 52, Baazaoui Dhiaddine, 29, e il 30enne Baazaoui Rabie) sono accusati di «associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Proprio Akram era pronto a fuggire. Venti gli indagati: in 15 mesi sono stati monitorati spostamenti e contatti. Tre di loro sono stati espulsi perché «sono una minaccia per la sicurezza dello Stato», dice il ministro Marco Minniti.  LE MINACCE Tra i contatti che aveva il terrorista Amri, c'è un tunisino di 37 anni residente a Latina: al telefono col palestinese Napulsi, si lascia andare a minacce del tipo: «Bisognerebbe mettere la testa dei miscredenti su un tagliere», agli infedeli andrebbe «mozzata la testa e tagliata la gola e i genitali». Napulsi abitava a Roma, in viale Marconi, non faceva che navigare col suo tablet e scaricare video (almeno 31) di propaganda islamista da Youtube. Si istruiva sull'uso di carabine ad aria compressa e lanciarazzi del tipo Prg-7. E studiava come modificare alcune armi. Poco prima dell'arresto per droga, il palestinese ha anche cercato di acquistare o noleggiare un furgone “pick up” adatto a montare armi da guerra. Per chi indaga, insomma, questa attività di auto-addestramento non lascia margine al dubbio: l'uomo era pronto a colpire. Ma non è chiaro il bersaglio.  Dalla rubrica di Anis Amri, inoltre, si è scoperto che nell'estate del 2015, l'attentatore trascorre almeno una decina di giorni ad Aprilia. Ospite del suo amico Montassar Yakoubi, conosciuto sul barcone che li scaricò a Lampedusa nel 2011. Il numero appartiene a Khazri Mounir, uno spacciatore radicalizzato di Latina, ed è attraverso questi che Napulsi manteneva «un collegamento diretto con ambienti riconducibili all'Isis». E sempre con lui, al telefono, si scagliava contro noi «infedeli occidentali». Gli altri quattro tunisini erano in stretto contatto con un amico di Amri. Insieme hanno fornito al terrorista un passaporto contraffatto e un finto permesso di soggiorno, prima di trasferirsi in Germania. Dove ha compiuto la strage. Insieme, sempre, hanno fatto entrare illegalmente in Italia un centinaio di connazionali. In cambio: grosse somme di denaro. E la minaccia per noi, «infedeli occidentali». di Cristiana Lodi

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