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Open Arms, tutte le balle: il documento che smaschera la Ong in fuga

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Cristina Agostini
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L'unica cosa a non essere una bufala è la morte, drammatica come ogni morte, e ancor più perché riguarda una mamma e il suo bimbo, di due migranti al largo della Libia. Tutto il resto che è stato scritto finora sul ritrovamento un paio di giorni fa di due cadaveri in mare appoggiati a un gommone - dalle accuse alla Guardia Costiera libica di aver affondato il natante, fino all' identificazione del luogo dove si sarebbe consumato il dramma - è una fake news. Prodotta ad arte, per screditare il governo libico, italiano o chiunque si opponga all' immigrazione. Leggi anche: "Caro Salvini, sai cosa faremo?". Open Arms, Ong senza pudore: prima infanga poi sfotte l'Italia Ricostruiamo i fatti. Due giorni fa la nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms ritrova i resti di un gommone affondato con a bordo i cadaveri di una donna e un bimbo e un' altra donna in fin di vita, Josephine, che viene salvata. Subito il fondatore della ong Oscar Camps incolpa le motovedette libiche, ree di aver «intercettato una barca con 158 persone» e di aver «lasciato due donne e un bambino a bordo» e poi «affondato l' imbarcazione perché non volevano salire sulle loro motovedette». Questa ricostruzione è stata tuttavia smentita prima dalla Marina militare libica, e poi da due giornalisti a bordo della motovedetta, Nadja Krewald della tv tedesca N-tv e il freelance libico Emag Matoug. A loro dire, durante le operazioni di salvataggio, nessun migrante è stato lasciato in mare. «Ne siamo sicuri, quando siamo andati via, non c' era più nessuno in acqua», garantisce la Krewald, ai microfoni di Valentino Di Giacomo de Il Messaggero. E, a maggior conferma, venerdì prossimo la N-tv manderà in onda il reportage della giornalista, in cui si vedrebbero le immagini finali del soccorso, quando in mare non c' erano più altri corpi. LA VERSIONE CORRETTA Dopo questa sonora smentita, il fronte degli umanitari ha dovuto cambiare versione. Perfino il deputato di Liberi e Uguali, Erasmo Palazzotto, che era a bordo della Open Arms al momento del recupero delle salme, e che fino all' altro giorno aveva giurato che la colpa era di quella motovedetta libica, ha dovuto fare una giravolta e sostenere che, «mentre una motovedetta girava la scena del salvataggio perfetto con una tv tedesca, un' altra lasciava in mezzo al mare due donne ed un bambino. Sono due interventi diversi, uno a 80 miglia davanti a Khoms e l' altro davanti a Tripoli». LE DUE MOTOVEDETTE - In sostanza, la morte di quella donna col suo bambino sarebbe stata causata non dalla nave della Guardia Costiera che ha salvato 158 migranti, come pure lui e Camps sostenevano, ma da un' altra motovedetta, impiegata alcune ore prima in un' altra operazione di soccorso e peraltro in un luogo un bel po' distante (parliamo di circa 180 miglia). Qualcosa tuttavia non torna. Se i morti recuperati dalla Open Arms sono stati individuati nello stesso luogo dove era intervenuta la nave della Guardia Costiera - come riferiva la stessa ong - non si capisce come il naufragio per loro mortale sia potuto avvenire a 180 miglia di distanza. E poi, quand' anche l' episodio fosse avvenuto altrove, pare inverosimile che i militari libici non siano riusciti a caricarsi a bordo, pur contro la loro volontà, due donne e un bambino (non parliamo certo di energumeni). Anche l' ipotesi che la donna e il bambino fossero già morti prima del soccorso desta qualche perplessità, perché è compito di un corpo militare recuperare sempre i corpi, anche se cadaveri. Il giallo, insomma, si infittisce. E così, in attesa di ascoltare la versione di Josephine, unica testimone oculare, noi possiamo solo dire ciò che non è accaduto. La nave che ha salvato 158 persone non ha lasciato morire alcun migrante. Con buona pace della ong, di Palazzotto e dei ballisti di professione. di Gianluca Veneziani

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