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Giampiero Khaled Paladini, il capo degli islamici pro-Salvini: "Cosa deve fare per fermare gli estremisti"

Gino Coala
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A forza di agitare la corona del rosario, spuntano anche i musulmani pro-Salvini. Più che a un miracolo, la svolta si deve alla riflessione di Giampiero Khaled Paladini: «Condividiamo molto di quanto è scritto nel contratto di governo sulla questione Islam, e lo dico da musulmano, ma è necessario ragionarci sopra senza pregiudizi e con serenità». Il messaggio incassa subito il gradimento del vicepremier e ministro dell' Interno, che accoglie benevolmente la proposta: «Siamo disposti a ragionare con tutti e a incontrare tutti, senza pregiudizi». Nelle stanze del Viminale sono passati parecchi islamici, a partire dalla prima consulta istituita da Beppe Pisanu nel 2005. Ma da allora sono stati tutt' altro che risolti i nodi della convivenza fra le comunità religiose e le istituzioni repubblicane. Stavolta, le premesse sono chiare come non mai. Sul punto, l' accordo fra Lega e 5 Stelle si propone l' introduzione di una normativa ad hoc per «l' istituzione di un registro dei ministri di culto, lo svolgimento delle prediche in lingua italiana e la tracciabilità dei finanziamenti per la costruzione delle moschee e, in generale, dei luoghi di culto». In più, l' esecutivo intende predisporre «strumenti per il controllo e la chiusura immediata di tutte le associazioni islamiche radicali nonché di moschee e luoghi di culto irregolari». Non è un' intesa, semmai sono leggi speciali, contesta preoccupato il Comitato Promotore della Costituente Islamica in Italia. Ma per Paladini, che ha pure «un passato da seminarista presso la Pia Società San Paolo», ma quattro anni fa ha preso l' iniziativa di costituire una Università islamica, la questione della provenienza del denaro è cruciale. Parlando con Libero, rivendica l' indipendenza dalle varie centrali d' influenza: «Noi siamo italiani e non stranieri. Italiani musulmani». E ribadisce con forza: «Prima gli italiani, tra cui noi, come dice Salvini». S' immagina già le critiche delle altre sigle storiche dell' islam italiano, legate le une a realtà del fondamentalismo palestinese, le altre agli apparati statali delle varie monarchie del Golfo o del Mediterraneo. Diranno che Paladini non rappresenta nessuno. Ma lui risponde secco: «Fratelli musulmani, Marocco, sauditi non ci interessano. A noi interessano gli italiani e vogliamo che questo Paese e la nostra cultura non corrano nessun rischio». Di petrodollari, insomma, dice di non aver affatto bisogno. Anzi, «ci finanziamo da soli, mica siamo dei morti di fame!» e indica le proprie fonti trasparenti di sostentamento nella Confime, la Confederazione Imprese Mediterranee. Sarà per questo, sospetta, che «siamo invisi alla maggior parte dei musulmani che vengono da fuori e per questo la nascita dell' Università è fortemente contrastata prima di tutto dai musulmani stranieri. Ma le assicuro che le nostre idee sono condivise da tanti». IL CONFRONTO Sono pronti al confronto, già a partire da settembre, quando a Omegna, sede di Unislamitalia, organizzeranno un convegno con la partecipazione del locale sindaco leghista. In una lettera aperta al governo, Paladini anticipa anche una piattaforma di discussione. La sicurezza innanzitutto: «Personalmente condivido la preoccupazione per i pericoli derivanti da possibili radicalizzazioni all' interno della comunità musulmana che possono portare ad azioni di terrorismo». Poi affronta il tema della compatibilità con il territorio circostante: «Condivido il principio che i centri culturali islamici devono essere costituiti nella piena legalità, ma questo vale e deve valere anche per quelli non islamici, altrimenti potrebbe sembrare una discriminazione pura e semplice». STOP AL RADICALISMO Infine sottolinea la necessità della formazione dei «ministri di culto»: «E condivido anche la preoccupazione per l' ignoranza che regna tra gli imam, quasi tutti stranieri, che operano in Italia. Ignoranza che non attiene a questioni di ordine religioso ma culturale e istituzionale. Come si fa a spiegare a un imam straniero che la shari' a in Italia non può essere praticata, se non ha la minima cognizione del principio di laicità dello Stato e ripudia a priori il concetto di democrazia, alla base dell' art. 1 della nostra Costituzione?» Su queste basi, il dialogo potrebbe funzionare. Bisogna soltanto vedere chi ci sta a proseguire il cammino. di Andrea Morigi

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