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Autostrade, il tragico precedente di Avellino: "Perché i genovesi non devono accettare i loro soldi"

Gino Coala
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È da un terribile precedente al crollo del ponte Morandi che arriva un avvertimento per le famiglie delle 43 vittime e gli sfollati di Genova, alle prese ora con la speranza di vedere puniti in tribunale i colpevoli di quel disastro. A parlare è Giuseppe Bruno, che il 28 luglio 2013 ad Avellino ha perso il padre e la madre nel terribile incidente del viadotto della A16, sulla Bari-Napoli: "Ai familiari delle vittime di Genova do il consiglio di non ripetere il mio errore, il nostro errore - ha detto al Fatto quotidiano - quello di accettare un accordo con Autostrade per l'Italia, ricevere subito un risarcimento e uscire dal processo". Leggi anche: Ponte Morandi, la festa in famiglia dei Benetton la sera della strage di Genova: "Brindavano e ballavano sui tavoli" Finora la giustizia ha accertato che la caduta dell'autobus, già mal messo, è dipesa anche da un difetto di manutenzione dei new jersey di protezione lungo quel tratto autostradale. Ma non è ancora detta l'ultima parola, finché non ci sarà sentenza definitiva. Il signor Bruno ancora oggi si rimprovera: "Bisogna andare fino in fondo: il vero risarcimento deve essere la galera per i responsabili e la revoca della concessione a chi non ha saputo garantire la sicurezza dei nostri cari". Il signor Bruno ricorda come a spingerlo ad accettare l'offerta di risarcimento furono i suoi stessi avvocati: "Mi sono fatto fregare dai miei avvocati che mi hanno spaventato riguardo alla probabile lunghezza del processo e alla possibilità che Autostrade per l'Italia venisse scagionata, con la responsabilità interamente accollata all'azienda del pullmino che trasportava cinquanta persone con un massimale assicurativo di appena 5 milioni di euro... Mi sono fatto fregare perché mi avevano convinto che l'associazione sarebbe comunque rimasta nel processo come parte civile. Ho sbagliato e me ne sono pentito, mi vergogno di averlo fatto. Ho rinunciato alla possibilità di far sentire la mia voce, di combattere la mia battaglia".

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