Vittorio Feltri, lezione sull'islam: non importa come si vestono, ma cosa fanno
Caro Direttore, lo chiamano «velo», termine che rimanda a qualcosa di impalpabile, di leggero e soave, eppure esso è il simbolo dell' assoggettamento e del dominio della donna da parte dell' uomo nella cultura islamica. In un periodo storico in cui nei Paesi arabi le giovani trovano la forza ed il coraggio di opporsi alla costrizione di barricarsi dietro quel lembo di tessuto che viene loro imposto e lo bruciano simbolicamente nelle piazze, finendo così con l' essere lapidate per avere avuto l' ardire di denudare la chioma, fa impressione leggere sulla prima pagina di un quotidiano nazionale occidentale, che peraltro ha sempre condannato tali subdole forme di sottomissione, che, in fondo, «che ce frega se le signore indossano velo e compagnia bella?», «devono essere libere di fare quello che gli pare», e altre osservazioni di questo calibro illustrate da Costanza Cavalli. La quale scrive: «Loro si vestono così, noi con cappellini o le cravatte, tutti si va in giro per corso Buenos Aires», e poi «che si vestano come vogliono, quindi, e loro ci lascino vestire come ci pare. Perché ci danno noia? Fanno la loro vita... E nel nostro Paese il fazzoletto, il foulard, il velo per le spose o per il lutto è tutt' ora usato.... Vorremmo leggi contro i foulard?». Paragoni fuorvianti. Le donne con il velo sarebbero «l' altra faccia della civiltà globale, quella di Amazon». Ecco il punto: la libertà. Una donna che porta il velo non è «libera di metterlo», come facciamo noi occidentali quando la mattina apriamo il guardaroba e scegliamo i pantaloni o la gonna, la camicia bianca o il top nero, il rossetto rosso o quello rosa, bensì è «costretta ad indossarlo», sebbene qualcuna sostenga che questa sia una sua decisione. Non si può definire «scelta» quella che come alternativa prevede l' esclusione sociale, il disprezzo della famiglia, il disonore, la forza bruta, la violenza, la morte. Non chiamatela «libertà». È un' ingiuria verso centinaia di migliaia di donzelle che sono state massacrate e ancora muoiono per essersi opposte a quel sottile «velo» di piombo, che di certo non è l' equivalente della cravatta. Il mio pensiero si rivolge ora a quelle ragazzine che sul nostro territorio, da nord a sud, vengono ogni dì picchiate, rasate, sfigurate, persino ammazzate qualche volta, poiché si ribellano all' obbligo del velo. Succede pure in questo istante. Ce lo racconta la cronaca. Abbiamo il dovere di essere vicini a queste giovani coraggiose e rivoluzionarie. LE IMPOSIZIONI - In una Nazione civile e democratica non si può accettare che gli individui vadano in giro a viso coperto. Lo fanno i banditi, i ladri, i killer, i criminali, i terroristi. Non è necessario che lo facciano anche le donne. Inoltre, allorché noi ci rechiamo nei Paesi islamici non ci sogniamo di andare in giro in costume, verremmo arrestati. Le italiane che abitano nei Paesi arabi devono usare lunghe tuniche, non possono rivolgere parola agli uomini nei locali pubblici o per strada, neanche al fine di chiedere un' indicazione. L' elenco dei divieti è infinito e Libero se n' è occupato spesso. Quindi, per quale motivo noi dovremmo considerare il velo un vezzo della moda al pari della sciarpa nonché tollerare che sulle nostre vie si circoli occultati da cima a fondo in un' epoca peraltro in cui è elevatissimo il rischio di attentati terroristici? Sotto quelle metrature di panno si può nascondere di tutto e spesso è accaduto (e accade) in certi Stati arabi che le fanciulle venissero imbottite di esplosivo, così come i bambini, e trasformate in strumenti di propaganda e di morte. LA LIBERTÀ - Non è in discussione, dunque, la mera libertà di vestirsi come piace e certe banalizzazioni sono pericolose, bensì sono in ballo la sicurezza collettiva, il rispetto dei diritti umani nonché quello delle regole fondamentali del vivere in una comunità civile. Qui siamo in Occidente, nella progredita Europa, chi vuole passeggiare a volto nascosto, resti a casa sua. La democrazia non è concedere a tutti di fare il cavolo che gli pare, ma fare in modo che tutti rispettino diritti, doveri e regole. di Azzurra N. Barbuto Cara Barbuto, su questo tema si fa una gran confusione. La legge vieta ogni sorta di mascheratura che impedisca la immediata identificazione delle persone, maschi o femmine che siano. Pertanto il burqa è bandito, idem il niqab. E va penalmente perseguito chi li porta. Ma coprirsi il capo con un velo o un foulard è lecito, nessuna norma del nostro codice lo proibisce. Di conseguenza se una islamica circola con il cranio fasciato non è perseguibile. Ci mancherebbe. Molte signore italiane usano cappelli di varie fogge, e non v' è chi eccepisca. Al massimo qualcuno che non si fa gli affari propri le prende in giro. Sono sfottute a sangue anche quelle che dondolano su tacchi-trampoli o che indossano abiti stravaganti. Ciascuno di noi si concia a modo suo sfidando la decenza. Ci sovvengono coloro che ricoprono il corpo di tatuaggi orrendi, trasformando la pelle in una sorta di tappezzeria disgustosa. Cosa facciamo, li arrestiamo? Ci basta prenderli per il sedere. Ha ragione Azzurra Barbuto quando afferma che per i musulmani il velo, il quale non era estraneo alle nostre nonne frequentatrici delle chiese cattoliche, ora è simbolo della sottomissione delle femmine ai maschi, e ciò fa orrore. Sia però chiaro, non scandalizza che le donne scelgano eventualmente certi copricapo, bensì il fatto che i mariti e i padri impongano loro di utilizzarlo. Se le povere creature disubbidiscono ai diktat familiari vengono spesso malmenate o addirittura uccise. Ma qui siamo di fronte a un reato punibile severamente, da condannarsi in via giudiziaria. Se invece il citato velo è spontaneamente adottato dalle fanciulle noi non abbiamo il diritto di censurarle. Ci mancherebbe che lo Stato indicasse quali siano gli indumenti graditi e quelli da non tollerare. Ecco il punto. Le discriminazioni - E torniamo ai mascheramenti da bocciare ossia il burqa e il niqab contrastanti con la nostra legislazione per noti motivi. Ovvio siano da eliminare senza esitazioni. Per la stessa ragione tuttavia non andrebbero ammessi i caschi integrali dei motociclisti che ne nascondono il volto. Perché viceversa sono considerati raccomandabili? Trattasi di contraddizione netta. Se si ritiene opportuno sopportare che i centauri celino la propria faccia, automaticamente sono da accogliere i burqa benché mi facciano ribrezzo. Due pesi e due misure sono da scartare. La civiltà occidentale rigetta l' idea che le signore vadano sottomesse, giacché ogni cittadino, a prescindere dalla propria estrazione e dal genere, è degno del medesimo rispetto. Chi sgarra dal sacrosanto principio è meritevole della galera. Ma dietro le sbarre devono finire i prepotenti e non le ragazze che si adattano liberamente ai costumi maomettani. Esse hanno facoltà di farsi schiacciare dagli idioti che praticano una religione scriteriata e priva di senso logico. Noi di Libero non abbiamo la verità in tasca, né la presunzione di salvare il mondo, ci limitiamo a osservare le pandette. di Vittorio Feltri