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Vittorio Feltri, la morte di Lorenzo Orsetti: "Chi di cecchino ferisce, di cecchino perisce"

Gino Coala
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Lorenzo Orsetti, 33 anni, fiorentino, ex cameriere, ha pensato un anno e mezzo fa circa di aggregarsi alle truppe curde per combattere contro l' Isis, che notoriamente non è un club di boy-scout. In battaglia ci ha lasciato la pelle. Dispiace a tutti, un connazionale che va in giro per il mondo e poi crepa in battaglia ci turba e non possiamo che averne pietà. Tuttavia ci domandiamo perché abbia abbandonato la sua specialità di sommelier, non particolarmente stressante, per andare a fare il ganassa in una guerra alla quale nessuno lo aveva obbligato di partecipare. Non riusciamo a capire come mai un tranquillo cittadino italiano, lavoratore impegnato, a un certo punto della sua vita, autentico tran tran, decida di calcare il deserto allo scopo di diventare tiratore e abbattere il maggior numero di canaglie dello Stato islamico. Mistero insondabile. Comprendiamo la sua solidarietà verso il bistrattato popolo curdo, povera gente perseguitata da secoli. Ma passare dalla solidarietà alla trincea impugnando il fucile è un salto troppo alto per avere un senso logico. Lorenzo aveva una passione supplementare: gli piaceva fare il cecchino. Questo induce a riflettere: è scontato che chi da cecchino ferisce da cecchino perisce. Il barista doveva sapere cioè che maneggiare la carabina è diverso dal preparare dei cocktail. Un conto è sbronzare i clienti seduti al banco delle mescite e un altro sterminare dei musulmani per quanto crudeli e poco disposti a farsi decimare. Forse Orsetti, detto Orso, aveva sottovalutato i rischi della propria seconda passione cosicché è stato stecchito nelle ultime fasi del conflitto mediorientale. Non ha nemmeno potuto godere della vittoria, ammesso che sia definitiva, visto che i barbari di Maometto hanno la pelle dura e rinascono più cattivi di quanto fossero prima di decedere. In sostanza siamo di fronte a un uomo, il fiorentino, che non sapeva cosa combinava. Si è lanciato allo sbaraglio con motivazioni che sfuggono alla nostra ragione. Un signore trentatreenne che si fa ammazzare come un bischero per il gusto di ergersi ad eroe nelle zone siriane merita rispetto, ma anche compatimento. Il suo sacrificio inutile ricorda quello della ragazza milanese, Silvia, emigrata in Kenia per aiutare gli indigeni in povertà e rapita da una brigata di mascalzoni. Nessuno sa più nulla di lei, è ancora nelle mani sudice dei sequestratori e, per liberarla, se sarà liberata, dovremo sganciare fior di milioni onde pagare il riscatto. Fare del bene è opera meritoria, però chi è tanto generoso non pretenda né applausi né di rifilare a noi il conto delle sue gesta. Ciascuno è responsabile dei propri errori e orrori. di Vittorio Feltri

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