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Csm, la circolare del vicepresidente: due settimane di vacanze in più, ecco i giudici italiani

Davide Locano
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«O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». Il «caos procure» acceso sull' accusa per corruzione a Luca Palamara fa sospendere altri due consiglieri del Csm; e David Ermini, vicepresidente e, per certi versi, coscienza critica del Consiglio Superiore della magistratura allarga le braccia. L'onor perduto dell' organo di autogoverno dei magistrati sta diventando la sua ossessione. Forse, però, nel delirio di questi giorni, a Ermini è sfuggita la freschissima circolare proprio del Csm approvata all' unanimità secondo la quale non potranno essere fissate udienze ordinarie dal 15 luglio al 7 settembre, e questo sebbene il Ministero della Giustizia avesse fissato il periodo feriale per le toghe dal 26 luglio al 2 settembre. Leggi anche: Il tristissimo finale di carriera di Ilda Boccassini VIVA LA DEONTOLOGIA La suddetta disposizione nasce da un' esigenza - come dire - ontologica. Perché si sente, insopprimibile, da parte dei colleghi togati, il bisogno di un «periodo cuscinetto», prima e dopo le ferie, per dare il tempo ai giudici di «scrivere le motivazioni delle sentenze già emesse». E uno, lì per lì, pensa ai poveri magistrati chini sulla scrivania, nelle afose notti estive, alla luce fioca della lampada, scrivere lentamente, con la dovizia calligrafica dei monaci amanuensi, le maledette motivazioni. Poi uno ci pensa meglio. E si accorge che, in pratica, trattasi di due settimane in più di ferie autostabilite (ma sotto un' altra dicitura). In pratica, il Csm ripristina le ferie tagliate da Matteo Renzi nel 2014 - da 45 a 30 giorni - , per il ritorno delle quali s' erano schierati in quadrata falange giudici di ogni colore e latitudine. L'Anm, furiosa, a quei tempi, si spinse a dichiarare che il taglio delle ferie condannava il lavoro del magistrato alla «burocratizzazione». E l' allora presidente Rocca Sabelli parlò di «favole su ferie e stipendi»; e il suo successore Piercamillo Davigo ribadì: «Perché il nostro datore di lavoro deve tagliarci le ferie senza neppure consultarci? E perché far credere che il disastro della giustizia dipenda dalle nostre ferie, quando siamo i giudici che lavorano di più in Europa?». Che, in realtà, non è vero. I PIÙ LENTI DELLA UE Perché il report, implacabile, è arrivato direttamente dalla Commissione Europea: la giustizia italiana è la peggiore in Europa. Proprio le nostre toghe sono indicate, infatti, come le più lente ed inefficienti. I tempi necessari per risolvere contenziosi civili e commerciali invece di diminuire, stanno aumentando. Ad esempio, se nel 2016 occorrevano 514 giorni per emettere una sentenza di primo grado, nel 2017 la media si è alzata a 548. In pratica, un mese in più. Quindi 548 giorni (un anno e mezzo) per una sentenza di primo grado, e 893 giorni (due anni e mezzo) per una sentenza di appello e 1.299 giorni (tre anni e mezzo) per una sentenza definitiva. E, tanto per sfatare i luoghi comuni, non è che per la giustizia siano allocate poche risorse, ma sono allocate male. Ogni cittadino italiano spende in media 96 euro per il settore: siamo ad un onorevole nono posto in Europa. Ma il problema è che il 63% degli investimenti copre gli stipendi dei giudici e del personale dei tribunali. Certo, l' Italia conta appena 10 giudici ogni 100mila abitanti (in alcune parti d' Europa ce ne sono 40) e soffre di una carenza cronica di personale, seppur mal distribuito. Epperò la lentezza della giustizia stessa diventa sempre un grave danno per l' economia. Se ci allineassimo ai tempi della giustizia civile tedesca, per esempio, aumenteremmo il Pil del 2,5%, 40 miliardi di euro; e produrremmo un effetto leva sull' occupazione di circa 130mila nuovi lavoratori. Siamo indietro su tutto. Salvo sulle vacanze dei nostri custodi della legge, stressati e bisognosi di riposo, sui quali più che il discredito si abbatte un inoppugnabile monte-ferie... di Francesco Specchia

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