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Sea Watch 3, l'immigrato appena sbarcato sta con Matteo Salvini: parole clamorose su Carola Rackete e Ue

Davide Locano
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Khadim Diop è un 24enne senegalese nero come la notte. Ha lasciato il suo Paese tanti anni fa per cercare fortuna, ma finora non ne ha trovata neanche un po': è stato picchiato, rapinato, è finito in un carcere nel deserto ed ha provato cosa significa essere venduto al mercato degli schiavi. Lo hanno perfino torturato con dei cavi elettrici per convincerlo a farsi spedire soldi dalla sua famiglia. Infine si è imbarcato su un gommone che, a poche miglia da Tripoli, è stato intercettato dalla Sea-Watch. Qui gli sono bastate poche ore in compagnia di Delrio, Fratoianni e Orfini per maturare una profonda convinzione politica: ha ragione Matteo Salvini. Sembra uno scherzo, ma in effetti non lo è per niente. Diop è uno dei 40 profughi sbarcati a Lampedusa nel fine settimana grazie alle manovre spericolate della tedesca Carola Rackete. «Una brava ragazza che ci ha tenuto su il morale durante i giorni in mezzo al mare», ha spiegato l' africano in un' intervista all' istituzionale emittente Euronews. Per il giovane, però, non si può neanche dare la croce addosso a chi l' ha contrastata: «Conosco Salvini e in realtà credo che in parte abbia ragione lui». E qui la telecamera vacilla. La cronista replica incredula: «Davvero?!». Risposta convinta dell' africano: «Sì, vuole che l' Europa faccia la sua parte sui migranti. La Germania deve prenderne una quota, così come la Francia e gli altri Paesi. Non si può lasciare fare tutto all' Italia. C'è crisi ovunque, non è facile per nessuno». Leggi anche: Sea Watch 3, anche il pm Guariniello contro la Germania ALTRE VERITÀ Diop, insomma, non crede affatto di essere una delle vittime della disumanità del ministro dell' Interno. Il Viminale, sembra dirci il profugo, sta agendo in maniera razionale, perché l' Italia non è l' Eden e non ci sono soldi e lavoro per tutti. Merkel e Macron, invece, in maniera ipocrita criticano Palazzo Chigi ma chiudono le frontiere. Al ragionamento manca solo un "prima gli italiani" per far superare all' immigrato l' esame per l' iscrizione alla Lega. D'altra parte all' africano sembra far schifo pure il cous cous, «sulla nave c' era solo quello». Forse il ragazzo avrebbe preferito un risotto con l' ossobuco: in futuro potremmo trovarlo come primo firmatario di una petizione contro l' apertura di kebab nei centri urbani. Khadim è un ragazzo sincero, forse pure troppo. Innanzitutto non prova neanche a barare sulla sua nazionalità: senegalese. Visto che a Dakar non c' è alcuna guerra, diventa evidente che ci troviamo di fronte all' ennesimo clandestino, non a un rifugiato. E se nessuno l' avesse attirato in Libia con la promessa di farlo arrivare un giorno nel ricco Nord, forse avrebbe passato una vita migliore, almeno fino ad oggi. Non sarebbe mai arrivato a Ben Whalid dove «usano i cavi per darti la scossa ai piedi. Ti fanno urlare dal dolore. I genitori al telefono sentendo quelle urla si spaventano, è così che li convincono a pagare». GRANDI MANOVRE Altro punto: nel suo racconto il migrante arriva a spiegare come la Sea-Watch sia arrivata a sfidare volontariamente le autorità di entrambe le sponde del Mediterraneo. Riguardo alla Rackete, infatti, dice che «quando sono arrivati i libici per riportarci indietro lei ha resistito. Ci sono state delle discussioni, ma lei si è opposta». Una storia molto diversa da quella che la Ong cerca di far filtrare, con l' imbarcazione di poveri africani abbandonata in mezzo al mare e Carola sostanzialmente "costretta" a recuperarli e a far rotta verso l' Italia. La verità, dice il suo ospite, è che l' equipaggio ha scelto di ignorare gli ordini dei libici e degli italiani. Il tutto dopo aver bellamente evitato le coste della Tunisia: un Paese da otto milioni di turisti lo scorso anno, ma ancora non basta per definirlo un "porto sicuro". di Lorenzo Mottola

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