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Coronavirus, la rivincita dei meridionali: "Settentrionali, restate a casa vostra"

Gabriele Galluccio
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Come esuli di guerra vengono accolti in queste ore dalle loro famiglie quei meridionali che dal Settentrione stanno facendo ritorno in terra madre a causa del contagio di coronavirus esploso venerdì scorso in Lombardia e poi diffusosi nelle regioni limitrofe, precipitando nel panico gli abitanti dello stivale. Le mamme abbracciano all'aeroporto o in stazione i loro figli, studenti fuori sede, scampati al pericolo di finire in terapia intensiva o - peggio - di crepare, le nonne li rimpinzano di ogni ben di Dio, pasta al forno, parmigiana di melanzane, polpettone, peperonata, caponata, come se i nipoti giungessero deperiti e stremati dal fronte. Per approfondire leggi anche: "Qui non comanda nessuno": virus, il governo brancola nel buio Il Sud sempre maltrattato, deriso, osteggiato, compatito, costretto a permanere ai margini, escluso, fanalino di coda della Nazione intera, si è adesso preso la sua rivincita sul Nord ed i polentoni che lo popolano, considerati quali untori, appestati da cui stare alla larga. Anzi, da tenere alla larga e rispedire altrove. Tramonta con il virus made in China il valore supremo dei terroni, ossia la rinomata e celebrata ospitalità: lombardi e veneti non sono graditi, se ne stiano a casa loro, in compagnia del Corona. La paura induce alla chiusura, alla circospezione, alla diffidenza, persino all'odio. E così, per la legge del contrappasso, principio in base al quale i colpevoli di qualche crimine o peccato patiscono proprio ciò che hanno inflitto, i polentoni vengono ghettizzati e messi al bando, come se diffondessero terribili morbi per il solo fatto di provenire da determinate aree del Paese. CARTELLO-BURLA E la memoria storica vola subito al periodo in cui gli immigrati del Sud, quelli che poi avrebbero in parte meridionalizzato il Nord, subivano discriminazioni di ogni tipo nelle città in cui approdavano per motivi di lavoro con la valigia di cartone. "Non si affitta ai settentrionali", si legge su un cartello la cui immagine in questi giorni sta girando sul web. Probabilmente si tratta di una burla, tuttavia non vi è dubbio che da Roma in giù stia montando un desiderio di vendetta nei confronti dei settentrionali, che, covato per decenni e decenni, soltanto ora ha trovato una "buona" occasione per tracimare ed esprimersi in tutta la sua virulenza. Coloro che dimorano nel Mezzogiorno si dicono orgogliosamente "sani" e puntano il dito contro quelli che vivono dalla parte opposta, i quali per i loro costumi promiscui, il loro stile di vita cosmopolita e moderno, ricco ma rischioso, si sono beccati il coronavirus. «E adesso che se lo tengano. Ben gli sta!», mormora qualcuno. È il momento di gettare benzina sul fuoco di vecchie faide familiari, mai sopitesi. Di saldare i conti in sospeso, sventolando il pretesto dell'emergenza sanitaria. Dunque, vietare l'ingresso in certi comuni o regioni a milanesi e torinesi, o a lombardi e veneti, diventa in qualche modo giustificato, giusto, ammissibile ed ammesso, sebbene tali provvedimenti non sorgano soltanto dall'esigenza di salvaguardare gli autoctoni, evitando che la malattia si propaghi, ma pure da un bisogno impellente di rivalsa. Pure coloro che non giungono dalla cosiddetta zona rossa, ossia dal focolaio dell'infezione, sono guardati con sospetto e li si prenderebbe volentieri a sberle, purché muniti di tute protettive, guanti in lattice e mascherine. POLENTA O POLPETTE Insomma, se fino ad ieri il razzismo era indirizzato ai cinesi, ora ha come bersaglio i nordici. E ci si dimentica un elemento fondamentale: a prescindere dal fatto che mangiamo prevalentemente polenta e cotolette o preferiamo divorare polpette e maccheroni, siamo tutti quanti italiani e componiamo un unico organismo, l'Italia. E se di questo organismo si ammala una parte, quantunque piccola, o pure estesa, allora esso è acciaccato tutto e la febbre che lo prende non si concentra solamente nel punto dolente. L'unità è stata fatta nel 1861, eppure essa è rimasta incompiuta. Siamo diventati Stato, ma non siamo mai diventati popolo unitario. Restiamo frammentati, divisi, spesso ostili gli uni con gli altri. Il coronavirus ci è piovuto addosso dalla Cina per mostrarci i nostri limiti. di Azzurra Barbuto

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