Nemmeno il presidente della Repubblica può considerarsi immune dalle caricature. E nemmeno dalle vignette di Benny, pubblicate su Libero. A sancirlo è una sentenza di non luogo a procedere nei confronti del nostro direttore, Maurizio Belpietro. Il 18 dicembre scorso, il giudice per l’udienza preliminare Laura Anna Marchiondelli, del Tribunale di Milano, si pronuncia sulla causa che vedeva Belpietro imputato per il reato di offesa all’onore o al prestigio del presidente della Repubblica, commessa a mezzo stampa. Tutto verte sulla raffigurazione satirica (riprodotta qui sopra) di una tavola imbandita sulla quale è servita una pizza a forma di penisola italiana e intorno alla quale si sono accomodati Giorgio Napolitano, Roberto Calderoli, Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani, con tanto di posate pronte all’uso. Insomma, è la casta riunita per mangiarsi, simbolicamente, il Paese. A parere del magistrato, a cui spetta stabilire se mandare a processo Belpietro per non averne impedito la pubblicazione, l’episodio tuttavia non travalica «la soglia della dura critica, attuata mediante forma satirica, ammessa dall’ordinamento giuridico». Anzi, «la critica alla ritenuta opulenza della classe politica, indicata come casta, è stata espressa facendo ricorso alla metafora alimentare, nell’intento di rappresentare icasticamente il pensiero che tale classe, arroccata tra i suoi privilegi, anteponga i propri interessi a quelli della collettività». Ne consegue anche un ulteriore sdoganamento lessicale, che riguarda il termine «pappone». Purché lo si intenda «nella sua accezione letterale di “mangione”» e non già nel senso «traslato di “lenone, sfruttatore o protettore di prostitute”», è lecito. Si trattava, in fondo, «di una campagna di informazione condotta dal quotidiano Libero, volta ad illustrare ai lettori il costo economico delle istituzioni». E non si deve dimenticare che è quest’ultimo il vero problema da risolvere, senza mettere a rischio la libertà di stampa.