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Coronavirus, scuole chiuse? "In aula a luglio": un incubo

Coronavirus

Francesco Specchia
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E, alla fine, nella suspence poliziesca in cui il governo ha voluto amabilmente avvolgerci fino all’ultim’istante, la mazzata è arrivata. Scuole, d’ogni ordine e grado, chiuse in tutt’Italia almeno fino al 15 marzo. Alè. Ancora quarantena didattica. Il Coronavirus è un tonante giudizio di Dio che si abbatte biblicamente sulla Pubblica Istruzione e sulle vite di noi genitori. La scuola non era mai stata così centrale dai tempi del Maestro Perboni del libro Cuore. Avevamo sperato, nel pomeriggio di ieri, in una frase dal sen fuggita della ministra Azzolina (“Nessuna decisione è stata presa”); ma poi ecco che la “dottrina” isolazionista del governatore Fontana è stata accolta da Conte. Serrata totale, come in guerra, sotto il sibilo delle bombe. Per chi - come me - si ritrova già stremato da due settimane di esilio casalingo con figli maschi under 8 assai litigiosi, appassionati di hard rock passato all’amplificatore, e capaci di mettere a ferro e fuoco la casa; be’, la sensazione è quella di assoluto sconcerto. Sconcerto che si trasforma, col lento scandire delle ore, in inquietudine e poi in distillato di puro terrore quando si tratta di dover riorganizzare la precaria organizzazione domestica.

 

Che, qui a Milano, assume il rigore d’un business plan: le chat dei compiti a casa da recuperare diventano incandescenti; si tenta di estendere la cooptazione della baby sitter ad orari inumani; si cerca di dare in affido i pargoli ai nonni i quali, tra l’altro, essendo anagraficamente sensibili al Coronavirus, non possono essere sollecitati più di tanto e un po’ giustamente s’incazzano. La prima impressione, insomma, è quella dell’apocalisse annunciata da Attilio Fontana nei panni di un cupo monaco millenarista. Poi però, dopo lo choc iniziale, subentra il raziocinio e uno realizza che il monaco, in fondo, non ha mica tutti i torti. Perché, una volta accertato che il primo diritto costituzionalmente da tutelare sia la salute di tutti, e che l’isolamento delle scuole- il primo ricettacolo del virus- diventi quindi essenziale, be’, è in quel momento che la gerarchia delle emergenze richiede il sacrificio. Fortunatamente il contagio, finora, è contenuto nella “zona gialla”, le tre regioni del nord; e per evitare che si diffonda e accenda focolai anche al centro e al sud, risulta indispensabile la quarantena volontaria. E, com’ovvio, questa strada è complessa, avrà costi sociali spropositati e che andrà ben spiegata al popolo, e non è che in quanto a comunicazione a Palazzo Chigi in questi giorni abbiano brillato. Tra i nodi principali, peraltro, spicca la necessità di coordinare il rapporto con le Regioni, affidato al ministro degli Affari regionali Francesco Boccia, così da evitare che si proceda in modo sghembo.

 

 

Detto questo, però, c’è anche un diritto allo studio egualmente da tutelare. L’anno scolastico, per essere valido dovrebbe durare per non meno di 200 giorni di lezione, salvo eventi imprevedibili e straordinari come, di fatto, il Coronavirus. E si potrebbe, in teoria -è questa la direzione a cui tende l’attuale politica del governo- derogare alla regola generale. In fondo -dicono- è già successo, per esempio, con le scuole romane dopo la nevicata himalayana del 2012: i ragazzi perdono giorni di scuola e una parte del programma, ma in fondo, suvvia, il Miur deroga e chissenefrega. Ma così il danno cadrebbe sulla preparazione dei nostri ragazzi. C’è un’altra soluzione, la più logica. Una volta sospese le scuole fino a metà marzo (speriamo non oltre), basterebbe far recuperare i giorni persi facendo slittare la chiusura estiva. Non c’è nulla di male se invece del 10 giugno, gli studenti recuperano l’anno tenendo i libri aperti fino al 30 giugno.  D’altronde l’Italia guida da sempre la classifica della durata delle ferie estive con gli altri paesi del Sud Europa -Spagna, Grecia, Malta, Cipro- : dalle 10 alle 13 le settimane, contro le 6 della Germania e dei paesi del Nord un po’ eccessivi dall’altro verso. Sussiste, storicamente, per noi una dilatazione proustiana del tempo vacanziero che fa comodo ai più, specie se alunni, insegnanti, presidi. Se, però, per l’emergenza Coronavirus, dilatassimo le ore di lezione nessuno si potrebbe scandalizzare. Noi stessi genitori di figli - diciamo - vivacetti tireremmo un respiro di sollievo, perché, finendo la scuola in concomitanza con le nostre ferie istituzionali, risparmieremmo l’elevato costo dei campi estivi, delle colonie, delle gite postscolastiche; eviteremmo di fingere l’avvento di un’improvvisa vocazione religiosa allo scopo di arruffianarci il parroco per piazzare i pargoli in parrocchia; avremmo la coscienza pulita e il portafoglio ancora gonfio. Naturalmente, caro Premier, questa non è una considerazione di ottimizzazione tecnica, è una supplica…

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