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Coronavirus, Camere chiuse. Meglio così non fanno danni

L'aula del Senato

Renato Farina
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 Con decisione unanime dei capigruppo d' ogni partito, la Camera tira giù la saracinesca. La democrazia rappresentativa si è messa in quarantena. Commissioni a riposo. L' aula si radunerà sbrigativamente al massimo una volta la settimana, di mercoledì, per approvare sbrigativamente i decreti governativi (11 marzo), e per ascoltare le comunicazioni di Giuseppe Conte (25 marzo), di mattina presto, perché poi va a Bruxelles. Il Senato si adeguerà senz' altro: popolato com' è da signori più attempati, non voleva attirarsi ironie a proposito di categorie a rischio, e ha lasciato prima decidere ai giovani. Il comunicato ufficiale della presidenza della Camera è perentorio. Secco. Da stato di guerra. «Per motivi legati all' emergenza sanitaria» il famoso bivacco sordo e grigio sloggia con i suoi trolley, e nessuno lo occuperà con i suoi manipoli. L' antecedente immediato è quello di Pechino, dove l' assemblea doveva ritrovarsi proprio in questi giorni, ma Xi Jinping ha disdetto tutto per tempo. In Cina è diverso: conta solo il leader del Partito comunista, e le sessioni parlamentari sono un teatrino propagandistico, che Xi usa per fare uno shampoo ai capi e capetti e per spaventare il mondo. In Italia il fatto è parecchio più significativo, perché in fondo la nostra è una democrazia rappresentativa, il cui cuore pulsante - si aggiunge sventolando la Costituzione - è il Parlamento. E farlo smettere di pulsare, metterlo in letargo come un orso, è davvero segno di qualcosa di mai visto. Non si ricordano precedenti repubblicani. La sua centralità - se il Parlamento fosse davvero il motore dell' Italia - non dovrebbe proprio nei momenti grami esibirsi più vigorosamente?
Il fatto è che persino gli onorevoli si sono rassegnati a essere un orpello inutile. Hanno interiorizzato l' opinione della folla, espressa in sondaggi terrificanti, per cui gli italiani che hanno fiducia nel Parlamento sono solo 15 su 100. Hanno votato essi stessi a larghissima maggioranza la propria decimazione, assecondando l' antipolitica per cui meno gente li rappresenta, meglio si sta. Ovvio che a questo punto, chiudendo baracca, essi stessi confermino e alimentino la diceria che ho appena sentito al bar, stando a congrua distanza dall' interlocutore che si disinfettava con un Campari soda: «Chiude la Camera? Faranno meno danni». A questo dileggio ha fatto da contrappunto un parere solo apparentemente opposto ma accomunato dalla disistima. «La nave affonda, i topi scappano. Meglio così». Possiamo dirlo perciò con una qualche certezza. La ritirata dei deputati da Roma non farà gridare le masse popolari al tradimento dei valori costituzionali. Susciterà sfottò e qualche invito a decurtarsi lo stipendio per destinarlo agli ospedali. Al massimo, in controtendenza, ci sarà il lamento di qualche intellettuale che vive in una torre di avorio e chinoa. Ma il sentimento, sia pur attutito dalla rarefazione dei rapporti, è corale: un guaio in meno per tutti, almeno ci concentriamo sulle cose serie. Non c' è nulla di più molesto, infatti, mentre ore gravi incombono, che essere avvolti dal cicaleccio e dai litigi da comari che rimbalzano da Montecitorio o Palazzo Madama e traslocano nei talk show. L' ideale sarebbe che abbandonassero anche la terza e quarta Camera, con tutto il rispetto che nutriamo per Bruno Vespa e Paolo De Debbio. È vero che se a tacere è il Parlamento, l' unica e (finora) disastrosa voce è quella del governo che dopo aver squalificato la sanità italiana agli occhi del mondo ci ha ricoperti con il cascame della retorica, sul fatto che-ce-la-faremo. Di questi tempi, le autorità cui siamo tutti portati a fidarci sono quelle prossime, mentre Roma appare lontana. Gli assessori lombardi ed emiliani che si sono presi il contagio, ci sembrano immersi come noi nelle stesse paure, e vedere che emanano provvedimenti severi e con calma, assecondando il governo con senso di responsabilità, ci scalda, e ci fa sentire la differenza con le recentissime cronache, che ancora ieri e l' altro ieri provocavano disgusto, con quelle manovre sottobanco per catturare responsabili (de che?) e sostituirli ai renziani, pur di conservare lo status quo rossogiallo. Almeno però, a transatlantico deserto, niente voltagabbana né inciuci, visto che del telefono non si fida nessuno.
Dovendosi votare solo su provvedimenti indispensabili e di fatto concordati tra tutti, in questo periodo di vacanza necessitata non passeranno legge-marchetta, che in realtà sono veri e propri furti dalle casse dello Stato. In momenti tesi, infatti, quando tutti si è attenti alla mannaia che penzola sopra il nostro collo, è allora - lo dico per esperienza diretta - che i furbi fanno passare commi, sub-emendamenti, i quali giovano alla tal lobby o alla talaltra corporazione. Non solo. Ci sono anche norme di peso, le quali, sfruttando l' attenzione al Covid-19, silenziose e invisibili come sommergibili corrono al porto dell' approvazione. Non è una teoria. E quanto stava realmente accadendo, prima d' oggi, con le disposizioni sull' omofobia: in Commissione si stava procedendo rapidi, con alle viste limitazioni grevi della libertà di parola e di pensiero. Si parificherebbe un' opinione negativa magari sull' utero in affitto ad un insulto razzista, facendolo rientrare nella legge Mancino. Be', le Commissioni espongono adesso il cartello: chiuso per Coronavirus. Meno male. In caso di emergenza grave ci sarebbero due possibilità di scuola per il Parlamento: o l' aula si raduna in seduta permanente, e parla, ascolta, di solito non decide, ma cerca di mostrare al popolo che i suoi rappresentanti vegliano insonni. Oppure si chiude bottega: chi per partire in armi contro il nemico, chi per imboscarsi. Crediamo che a far prevalere la seconda opzione sia stato il desiderio dei parlamentari di corrispondere umilmente ai desideri dei cittadini, più che di sfuggire alle responsabilità. Nessuno sente il bisogno di trovarsi davanti le immagini di un Toninelli o di un Crimi insonni che trafficano per il nostro bene. Ci è stato così risparmiato il culto degli eroici parlamentari che sfidano il pericolo della buvette. È una consolazione mediocre ma sentita.

 

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