«Dio mi ha guidato su questa strada», diceva Giuliano Ibrahim Delnevo, riferendosi alla sua conversione all’islam, avvenuta nel 2008. Chi invece lo abbia condotto in Siria, sul sentiero del jihad e della morte sulla via di Allah, invece, è l’incontro con entità molto più terrene. Da principio, il 23enne genovese aveva incrociato la branca locale dei Fratelli Musulmani. La sua professione di fede l’aveva fatta ad Ancona, la città in cui vive l’ex presidente dell’Ucoii Mohamed Nour Dachan. Ma non erano l’organizzazione che faceva per lui. Perfino i siriani come Dachan, ora membro del Syrian National Council, sembrano limitarsi alla propaganda, all’assistenza umanitaria e a chiedere l’appoggio della Farnesina alla rivolta anti-Assad. Stare ad attendere in preghiera l’avvento della sharia, tentando la strategia dell’islamizzazione dal basso, delle relazioni istituzionali con gli “infedeli”, avrebbe fatto invecchiare senza gloria e senza onore quel giovane letteralmente folgorato sulla via di Damasco. Lui bruciava dallo zelo. Nel giro di un anno li aveva abbandonati per cercare il paradiso dei martiri. Era partito per il Marocco, dove potrebbe essere stato reclutato attraverso il contatto con il network jihadista Sharia4, una rete internazionale che forma alla predicazione di strada anche attraverso internet. Il loro referente in Italia è considerato un marocchino di 21 anni, arrestato a Brescia dalla Digos la settimana scorsa perché sospettato di addestramento con finalità di terrorismo internazionale e di incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi. È la stessa pista che stavano seguendo dal novembre 2009 due magistrati genovesi, il pm Silvio Franz e l’aggiunto Nicola Piacente, che si erano concentrati su un gruppo di italiani e nordafricani formato da altre tre persone. Il procuratore di Genova, Michele Di Lecce, esclude che vi siano collegamenti con altre procure nell’inchiesta, ma il fenomeno degli italiani convertiti all’islam che intraprendono un percorso di radicalizzazione è da tempo sotto la lente dell’intelligence. Sarebbero coinvolte alcune decine di persone, fra le quali gli indagati in due diverse operazioni antiterrorismo, avviate l’anno scorso a Cagliari e a Brescia. Si tratta in genere di convertiti che fanno propaganda sul web e si mantengono in contatto con ultrafondamentalisti come i circoli deobandi, costituiti da pakistani. Si va per tentativi, ma potrebbe essere quello il percorso seguito da coloro che decidono di passare all’azione unendosi a gruppi armati dopo un periodo di addestramento. In parte, hanno raggiunto il plotone di 45-50 jihadisti partiti dall’Italia, soprattutto dal centro-Nord, ma anche da Roma per combattere con i ribelli in Siria, secondo le informazioni fornite dalla Comunità del Mondo arabo in Italia: gli «italiani» si troverebbero soprattutto nel Nord della Siria e tra questi ci sarebbe anche una donna. Anche fonti siriane in Italia confermano quanto spiegato dal presidente della Comai, Foad Aodi, per il quale in Siria questi gruppi sarebbero concentrati «in gran parte nella zona di Dayr az Zor e Aleppo» dove, tra gli altri, si troverebbero anche «tre donne, un’italiana, una spagnola e probabilmente una cecena», come ausiliarie dedicate a prestare assistenza ai ribelli. Quanto a Delnevo, era andato in Cecenia, dove «conobbe un gruppo di guerriglieri e decise di passare all’azione», rivela il suo amico Umberto Marcozzi all’Huffington Post. Poi si era inventato la copertura di una missione umanitaria in Turchia, ma in moschea sapevano che in realtà era finito a combattere in prima linea in territorio siriano. Come fosse riuscito a conquistarsi la fiducia di un gruppo di assassini come Jabhat Al Nusra, cioè la filiale locale di Al Qaeda, peraltro rimane ancora un mistero. Centinaia di libici, sauditi, tunisini, egiziani, giordani, libanesi e iracheni attendono impazienti di essere reclutati e mandati al fronte. Tutti in qualche modo arabofoni e addestrati come si conviene. Tanto che i turchi, che non parlano arabo come madrelingua, rappresentano soltanto l’1% dei caduti in battaglia nelle file della resistenza anti-Assad, spiega uno studio approfondito sulla «Carovana di martiri nel Levante», pubblicato dagli esperti di terrorismo Aaron Y. Zelin, Evan F. Kohlmann e Laith al-Khouri. Con la prima vittima italiana, ora, arriva un segnale nuovo sull’esistenza di un network occidentale ben accreditato, un canale che dall’Italia esporta il terrorismo in uno Stato estero. Ma che potrebbe altrettanto facilmente intraprendere il viaggio di ritorno e importarlo dalla Siria in Italia, non appena se ne presentassero le condizioni e le opportunità. di Andrea Morigi
