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Funivia Stresa Mottarone, una prassi i freni bloccati: il video del 2014 che inchioda i gestori

funivia Mottarone

Francesco Specchia
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Il colpo di scena arriva col crepuscolo, e finisce in Procura, nella stanza attigua a dove si stava consumando lo scontro al calor bianco fra magistrate.

La notizia che getta nuove luci sulle ombre della tragedia del Mottarone è che i freni d’emergenza della funivia potrebbero essere già bloccati da anni, almeno dal 2014. In serata emergono alcuni video di un silente videoamatore svizzero, Michael Meier; uno che, dal 2014 al 2018, ossessionato dalla montagna, la filmava nei più intimi dettagli compresi i “forchettoni” che bloccavano i freni. Meier, scosso dai luttuosi eventi, ha inviato le immagini alla tv tedesca ZDF. E la ZDF le ha spedite a Verbania. E questo potrebbe deviare il corso naturale delle indagini, delle perizie e delle responsabilità. Anche perché, fino a ieri, la notizia del giorno era lo scazzo fra la Gip di Verbania Donatella Banci Buonamici e il Procuratore Capo Olimpia Bossi. Un dualismo feroce su cui si concentravano le telecamere e i taccuini dei cronisti, e perfino le fazioni di baristi. “Per la prima volta un Gip ha fatto qualcosa di diverso dal Procuratore. Poi, certo, una scarcerazione non è un’assoluzione…”, ci dice Roberto Dall’Orto, un oste che assorbe la procedura penale per osmosi. Da 31 anni è il proprietario del bar davanti al Tribunale di Verbania; e da qui evoca i tempi in cui transitavano magistrati famosi e detenuti leggendari, e lui serviva i panini dentro le gabbie del maxiprocesso alla ‘ndrangheta del 94. Mentre evoca, l’oste strofina i bicchieri dietro al bancone, come se dentro ci fosse il genio della lampada. Sta dalla parte del Gip: “Perché conosco il figlio dello scarcerato Nerini, il proprietario delle Ferrovie; è vero che stava sulla funivia, è compagno di classe di mia figlia”. Invece la titolare del Bar Corona davanti al carcere parteggia per la Procura (“vedrete che li scarcerano, tanto si sa come va a finire la giustizia italiana”). E con i baristi, la cittadinanza tutta avvertiva lo stridore della sfida, giocata tra la ribalta dei media e le aule del Tribunale. I fatti sono che la Banci abbia sì disposto gli arresti domiciliari per il caposervizio della funivia, Gabriele Tadini, ma ha pure scarcerato Luigi Nerini, gestore dell'impianto, e Enrico Perocchio, direttore di esercizio: gli stessi indagati per i quali la collega pm aveva chiesto la carcerazione preventiva causa reiterazione del reato, pericolo di fuga e grave pericolosità sociale. Banci, formalizzando la sua decisione, ha inciso la carne viva dell’impianto accusatorio della Bossi. Bossi, ancora più dura, ha replicato di volere appellare la suddetta decisione. Sicché, la schiva Banci -cosa più unica che rara per i Gip di solito votati all’understatement- ieri mattina si è avvicinata al bivacco dei giornalisti alla ricerca disperata di notizie; e a loro si è data in pasto gettando un’altra bomba. “Ho solo osservato che non sussisteva il pericolo di fuga, non esisteva” ha spiegato la Gip “per le motivazioni che ho scritto, non ho ritenuto per due persone la sussistenza dei gravi indizi, non perché non abbia creduto a uno (ossia a Tadini, ndr), perché ho ritenuto non riscontrata la chiamata in correità, che deve essere dettagliata, questa non lo era ed era smentita da altre risultanze”. E alla libera stampa che insisteva sul contrasto deciso, quasi urticante, con la Capa della Procura ha aggiunto: “Il pm fa il suo lavoro bene e io faccio il mio lavoro credo altrettanto onestamente, è il sistema, dovreste ringraziare che il sistema è così, dovete essere felici di vivere in uno Stato in cui il sistema fa giustizia o è una garanzia e invece sembra che non siate felici, l’Italia è un paese democratico”. Ed è così il sistema, noi siamo felici. Meno felice è la Procura. La Bossi ieri è rimasta tutto il giorno inchiodata alla scrivania e agli interrogatori dei dipendenti delle Ferrovie.

Mentre le due davano di sciabola, Giorgio Chiandussi superperito del Politecnico di Torino si arrampicava, con aria claustrale, sulla china del Mottarone a cercare nuovi indizi attraverso “accertamenti irrepetibili”. L’ingegnere non ci ha degnato di un sussurro. Ma vuole capire “perché la fune si è rotta e si è sfilata, e se il sistema frenante aveva dei difetti”, e da queste analisi si vedrà se “emergeranno” anche altre responsabilità. Vuole saper come la “testa fusa” la base del cavo s’è conficcata in un tronco, se il cavo fosse mangiato da un processo di erosione; se ogni fune, carrucola, scarpa o puleggia fosse dove doveva essere. Vuole analizzare il tetto della cabina, che sarà rimossa la prossima settimana. Accanto a lui s’è materializzata la commissione di ispettori voluta dal ministro Giovannini, sul luogo dello schianto assieme ai carabinieri.  Ed è stato sentito l’operatore che il giorno della tragedia mantenne i ceppi che bloccarono il frenaggio. Lo stesso operatore ha confermato che fu il caposervizio Tadini a dargli l’ordine raccontando che il tecnico aveva più volte discusso col gestore Nerini e col direttore Perocchio perché lui avrebbe voluto “chiudere” l’impianto e gli altri due no, per “motivi economici”. Che poi sarebbe la versione della Bossi. Che ancora una volta contrasta con quella della Banci. Il piccolo Eitan verrà dimesso dall’ospedale. Ma da domani, visionato, sarà il video dello svizzero a farla da padrone, smascherando un probabile carico di menzogne…

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