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Torino, il monumento per i caduti di Nassiriya distrutto dai vandali. L'inquietante coincidenza con i talebani

Giovanni Sallusti
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Talebani in azione a Torino, e non è un impazzimento del cronista. Perché chi ha danneggiato e divelto il monumento in onore dei nostri caduti di Nassiriya, opera dello scultore nonché maresciallo capo dell'esercito Osvaldo Moi, tecnicamente ragiona, e agisce, come gli squadristi islamici che in questi giorni stanno (ri)terrorizzando l'Afghanistan. Ha le stesse priorità marce, coltiva lo stesso disprezzo viscerale per la vita e per la libertà, pratica la stessa vigliaccheria teppista. E non solo non prova vergogna e schifo di sé per la somiglianza, ma la rivendica, scegliendo una tempistica che rende l'atto due volte barbaro: mentre in Medio Oriente la piovra islamista rialza la testa, questa feccia sfregia il ricordo di uno dei colpi più dolorosi per il nostro Paese tra quelli messi a segno dai suoi tentacoli.

 

 

 

 




LA CARNEFICINA - 12 novembre 2003, Nassiriya, Iraq, ore 10e40 locali (le 8e40 in Italia): un camion cisterna pieno di esplosivo scoppia davanti all'ingresso della base dei Carabinieri, provocando successivamente un'altra esplosione nel deposito munizioni della base "Maestrale". Il bilancio, come si usa stupidamente dire in questi casi, è di 28 morti: 19 italiani (12 Carabinieri, 5 soldati dell'Esercito e 2 civili, un regista che si trovava lì per girare un documentario e un cooperante) e 9 iracheni (compresi i due attentatori). I feriti sono almeno 140, è il più grave attacco subito da truppe italiane dalla fine della Seconda guerra mondiale. La matrice della carneficina sta nel terrorismo sunnita, in gruppi vicini al Al Qaeda e al suo capo in Iraq Abu Musab al-Zarqawi. Moi, che in quei giorni è a Sarajevo, segue l'istinto di chi conosce l'oscenità bellica, la quale divora il tempo e lo spazio, e realizza una scultura lignea in rovere dei Balcani. Diciannove figure, come i ragazzi che non ci sono più, ma non definite, stilizzate e compresse a comporre un'unica figura, perché uno è il fiume di sangue, una è la sofferenza immane, uno è l'orrore bombarolo che sventra in nome della jihad. È lo stesso orrore che oggi dilaga in Afghanistan, con le esecuzioni sommarie e la caccia a chi non gradisce la sharia casa per casa. Qualche cretino nostrano ha (stra)parlato di «atteggiamento distensivo» e di «talebani moderati», e pensavamo fosse l'apice. Invece, c'è sempre qualcuno (ancora) più cretino, e stavolta si è materializzato a Torino, col vandalismo contro la statua installata in Viale IV novembre. Contro la nostra storia, contro l'ovvia condivisione umana e nazionale, contro l'urlo insopprimibile delle madri, dei padri, dei fratelli, delle mogli. Che oggi risuona ancora più straziato. Sabrina Cavallaro, vedova del maresciallo Giovanni Cavallaro: «Sono disgustata. Questo gesto è un'offesa a tutti i caduti, non solo quelli di Nassiriya. È un atto spregevole che fa male all'intera comunità».


«LASCIATELI IN PACE» - Le fa eco Tiziana Montalto, vedova del maresciallo Alfio Ragazzi: «Sono sconvolta. I responsabili di questo gesto mi fanno tanta pena. Sapere che i nostri caduti vengono oltraggiati in questo modo è terribile. Non li lasciano in pace neanche ora che non ci sono più». E poi, il punto incandescente, il cretinismo italico e il mattatoio mediorientale che tornano a incrociarsi: «Provo anche molto sconforto per quanto sta accadendo in Afghanistan. Ho molta tristezza, sembra che tutto sia stato vano». No, signora, no famigliari tutti, no a chi se ne è andato e a chi vive ricordando: non è stato tutto vano. Giovanni, Alfio, tutti loro, sono i migliori di noi. Non si sono soffermati a guardare una civiltà bruciare, non sono rimasti a vivacchiare nel disinteresse personalistico, ma nemmeno nella parola veicolata da una confortevole tastiera, come quella di questo pezzo. Sono andati là, hanno guardato in faccia il Mostro, l'hanno combattuto, ci hanno permesso di proseguire a vivacchiare a modo nostro, perché loro erano là. E nessun cretino può farci niente.

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