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Luciana Lamorgese "ha trenta giorni per spiegare". Dai magistrati la bomba che la spazza via: tic-tac, per lei è finita?

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Ha trenta giorni di tempo il ministero dell'Interno per spiegare per quale ragione non vuole rendere pubblici gli atti sulla base dei quali 400 uomini e donne, tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito, vennero inviati in Val Seriana il 5 marzo 2020 e poi ritirati 3 giorni dopo, determinando così la mancata "zona rossa" in anticipo sul lockdown nazionale. Un episodio che, questa è anche un'ipotesi al vaglio della Procura di Bergamo, potrebbe avere contribuito a rendere questo territorio uno dei focolai Covid più micidiali al mondo. Lo dice una nuova ordinanza del Consiglio di Stato nell'ambito di un complesso iter cominciato un anno e mezzo fa dall'Agi con una richiesta di accesso agli atti al ministero per potere consultare questi documenti.

 

 

Il Viminale, scrivono i magistrati Michele Corradino, Giulio Veltri, Giovanni Pescatore, Solveig Cogliani ed Ezio Fedullo, "deve rendere documentati chiarimenti entro 30 giorni" sulle ragioni addotte nella sue memorie per non svelare le carte e cioé "l'esigenza di secretazione di informazioni concernenti 'l'aria tecnico-industriale, tecnico-operativa, connessa con la pianificazione, l'impiego e l'addestramento delle forze armate'"; le strategie "di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica"; "un'esigenza di riservatezza pur a fronte del considerevole lasso temporale trascorso dall'epoca di interclusione della zona rossa nei Comuni di Nembro e Alzano Lombardo". 

 

 

Il primo 'no' del ministero all'agenzia di stampa Agi era arrivato il 6 novembre dello scorso anno. Si negavano "gli atti inerenti l'impiego e il ritiro dei militari nelle zone dei Comuni di Nembro e Alzano" richiamandosi alle "cause di esclusione" previste dalla legge cioé "la sicurezza e l'ordine pubblico", la "sicurezza nazionale", "la difesa e le questioni militari", "la conduzione dei reati e il loro perseguimento". Il Tar, a cui l'Agi si era rivolto attraverso un ricorso scritto dall'avvocato Gianluca Castagnino, aveva però respinto la tesi del Ministero sottolineando che l'accesso civico "è finalizzato a favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche".

 

 

Secondo i giudici Francesco Arzillo e Daniele Bongiovanni, rendere pubbliche le carte non avrebbe comportato nessun pericolo perché "la richiesta è stata formulata nel settembre 2020 quando la questione della 'chiusura' delle aree era superata da tempo", "si tratta di un'attività di impiego di militari in un ambito toponomastico e temporale circoscritto e non si inquadra in un contesto più ampio finalizzato alle modalità di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica, tanto che una loro divulgazione vanificherebbe la strategia individuata dalle forze di polizia" e la stessa Procura, interpellata dai giudici, ha detto che non sono atti coperti da segreto. Per questi motivi, l'organo di giustizia amministrativa aveva ordinato di rendere accessibili gli atti nel giro di un mese. Ma nel luglio scorso il Consiglio di Stato, al quale aveva il Ministero si era appellato, aveva sospeso la decisione del Tar. Ora la nuova ordinanza che rimanda 'la palla' al Ministero chiamato a spiegare, documenti alla mano, per quale ragione la collettività non debba sapere perché i militari, già pronti a 'tracciare' la zona rossa, vennero richiamati a nuovo ordine. Con le tragiche conseguenze a cui purtroppo abbiamo dovuto assistere. 

 

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