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Covid, dopo Pasqua: ecco il piano di Roberto Speranza. Follia della banda del virus: a cosa vogliono condannarci

Alessandro Giuli
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E se in questa Pasqua di guerra l'agnellino sacrificale predestinato fosse il lugubre teatro del Covid di Roberto Speranza? Nulla di personale, sia chiaro; ma una volta liberi dal Cts, una volta preso atto che con la variante Omicron e le sue sottomarche abbiamo imparato a convivere terapeuticamente senza finire sotto terra, sembra proprio giunto il momento d'imporre al ministro della Salute e ai suoi ipocondriaci consiglieri di sbaraccare mascherine e altre limitazioni penitenziali.

Oltre all'anacronistico green pass, ovvio. Ma a quanto pare lui non ha ancora intenzione di uscire - e farci uscire - dalla prigione invisibile della pandemia. E così, mentre a Shanghai il dispotismo asiatico cinese rimette in scena un cruento lockdown sul modello del 2020, il nostalgico Speranza insiste nel rinviare a dopo Pasqua una valutazione definitiva sull'uso dei dispositivi sanitari che in teoria dovrebbero sparire da fine mese in poi: «Valuteremo la curva epidemiologica, ma dobbiamo ancora tenere alto il livello di attenzione: ora le mascherine sono essenziali... noi le raccomandiamo con forza in tutte le occasioni, anche all'aperto, dove ci sono possibilità di assembramenti».

 

Già si prefigura un supplemento costrittivo per gli studenti dai sei anni in su, in omaggio a un principio di precauzione che estende il proprio cono d'ombra ben oltre i soggetti fragili da tutelare e per i quali - a cominciare dagli ultra ottantenni - è iniziato il ciclo della quarta vaccinazione.

Il resto d'Europa, neanche a dirlo, ha già dismesso in larga parte le protezioni d'emergenza con il tracciamento nelle scuole e i vari tamponifici farmaceutici necessari per ottenere i lasciapassare nel mondo del lavoro e dello svago. Noi ci siamo quasi, ma il colpo di coda è dietro l'angolo. Il consulente principale di Speranza, l'apocalittico Walter Ricciardi, ha trovato nella «contagiosissima variante Xe» una voluttuosa ragione per rallentare la nostra liberazione sociale - «non dobbiamo abbassare la guardia, perché corriamo il rischio di avere un ulteriore aumento di casi» - e peggio ancora uno spettro per rendere anzitempo angosciante l'attesa del prossimo autunno che, a suo dire, dovrà trovarci tutti "richiamati" a dovere: «La vaccinazione con tre dosi non protegge completamente dall'infezione, ma protegge dagli effetti gravi del Covid, dall'ospedalizzazione e soprattutto dalla morte. 

In autunno sarà necessaria una nuova dose per tutti». La motivazione è abbastanza facile da capire - «ci saranno le condizioni favorevoli per la propagazione del virus e ci sarà un'attenuazione della protezione vaccinale in tutta la popolazione» - ma si fatica a comprendere l'attuale ostinazione sulle mascherine in vista della primavera inoltrata. Secondo Ricciardi «è molto probabile che saranno proprio i dati a dirci di non toglierle, non solo al chiuso, ma anche all'aperto in tutti i casi di assembramento», sebbene alcuni stimati colleghi virologi come Andrea Crisanti e Matteo Bassetti abbiano appena ribadito che dal punto di vista epidemiologico far tenere la mascherina in classe e negli altri luoghi chiusi è una scelta inutile e che non ha più alcun impatto sui contagi.

 

Anche a non voler scorgere l'impronta di una strumentalizzazione politica fuori tempo massimo, c'è qualcosa di manicale che ancora pervade il circo mediatico-sanitario italiano. Malgrado sia stata scavalcata dalle notizie di guerra provenienti dall'Ucraina, la permeabilità dell'opinione pubblica rispetto all'allarmismo pandemico rimane altissima. E ciononostante rischia di passare in secondo piano la decisione di provvedere a ulteriori tagli per tre miliardi alla sanità contemplata nel Def (dai 131 in più di quest' anno a 128 nel 2024, con un ritocchino in su d'un miliardo per il 2025). Con il che non soltanto si offrono argomenti retorici al partito contrario al rialzo delle spese per il riarmo, capeggiato da Giuseppe Conte, ma si rischia di replicare gli stessi errori che hanno consentito al Covid-19 di coglierci impreparati nel corso della prima ondata. Mentre le inchieste giudiziarie fanno il loro corso intorno alle lacune del piano pandemico e alle zone d'ombra sugli approvvigionamenti iniziali degli strumenti di protezione e profilassi, i politici italiani farebbero bene a interrogarsi finalmente sulla sopraggiunta obsolescenza d'una dittatura sanitaria che non probabilmente lo era, ma è decisamente invecchiata male. 

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