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Stefano Puzzer, leader no-vax? No, dei fannulloni: licenziato perché non voleva lavorare

Filippo Facci
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Il pesce Puzzer dalla testa. Il leader del movimento «No green pass» di Trieste, che si chiama Stefano Puzzer, è stato licenziato per giusta causa dall'Agenzia per il lavoro portuale di Trieste. La giusta causa è che non lavorava, era troppo impegnato - risulta - a fare il leader. E dire che l'azienda gli aveva inviato varie lettere di contestazione e l'aveva invitato a tornare in servizio: infatti era guarito dal Covid (che aveva preso: chissà come mai) e dunque ufficialmente in possesso del green pass che tanto contestava. Aveva cominciato ad agitarsi nell'ottobre scorso, forse facilitando delle emulazioni in altre città italiane dove altri sciroccati avevano cominciato ad agitarsi a loro volta: ora però sarà libero di fare il leader senza questa ricercata seccatura che chiamata occupazione, e a comunicarlo è stato lui stesso attraverso lo strumento che più si conforma alla comunicazione dei leader del presente e del futuro: Facebook. con una melodrammatica diretta di dodici minuti, girata a casa con moglie e i figli e un amico portuale (che il lavoro ce l'ha ancora) il copione è stato sempre lo stesso: prima si aggrovigliano tra loro dei complotti da stato di polizia che sono stati (sarebbero stati) alla base della decisione di farlo fuori: Il «sistema», ha detto, «mi ha installato un gps sotto la macchina pensando chissà di riuscire a scoprire che cosa», e la macchina gliel'avrebbero anche «manomessa». Dopodiché ha detto una serie di frasi che secondo copione vanno interpretate o lette al contrario. «Sapevo che era una cosa cui sarei andato incontro». Traduzione: non se l'aspettava. «Sono orgoglioso di quello che ho fatto io, i miei colleghi, i cittadini di Trieste nelle varie aziende». Traduzione: sono disperato e mi sentirei appena meglio se licenziassero anche i miei colleghi nonché i triestini nelle varie aziende.

 

 

 

DURI E PURI

«Questa è una conseguenza del fatto che siamo puri, che crediamo nei nostri diritti e non ci piegheremo mai a questo sistema marcio. Non siamo ricattabili». Ossia: ci siamo piegati da tempo, siamo puri sinché non ci toccano la busta paga, ed è la ragione per cui i diritti e il sistema marcio sì certo, va bene, ma siamo ricattabilissimi, e presto me ne accorgerò perché i colleghi mi molleranno. Ancora: «Noi abbiamo fatto sempre tutto a fin di bene, voi mi avete dato questo uovo di Pasqua e io vi darò la sorpresa, la gente come noi non molla mai, ne vedremo delle belle. Voglio bene anche a voi che mi avete licenziato». Traduzione: vi odio, vi voglio morti, il mio quadro clinico peraltro sta peggiorando e i sintomi del mio delirio si stanno accentuando, a Pasqua sono partiti tutti come al solito, è vero, mi hanno lasciato solo e se ne fottono tutti, ma vi assicuro che durante le feste non ne approfitteranno per scofanarsi pasta al forno, agnello, faraona, casatiello e coratella coi carciofi: penseranno tutti alla situazione occupazionale del porto di Trieste in chiave ideologica, compresi i bambini che resteranno indifferenti al contenuto dell'uovo di cioccolato. C'è Puzzer di bruciato: «Non ce l'avete fatta quando vergognosamente avete inquinato le mie urine con la cocaina; c'è stato un processo è tutto documentato, si trova tutto su Google». Ossia: mi facevo pure di coca (era l'accusa) ma il noto tribunale di Google, che ha messo a disposizione atti e testimonianze secondo le mie volontà, dice la verità, esattamente come la dice sul green pass: so che a Pasqua penserete ininterrottamente anche a questo. Il pathos è crescente: «Metteremo fuori tutte le carte». Lettura: giocheremo a briscola, a questo punto. «Mi batterò con tutte le mie forze. Il mio lavoro è più di un lavoro, è appartenenza e prima o poi tornerò a fare il lavoratore portuale». Cioè: se non il portuale non saprei che altro fare, delegherò un legale (che si farà pagare, perché va bene la solidarietà, però...) e peccato che l'azienda si sia accorta di questa trascurabile sfaccettatura del mio modus lavorandi: che non avevo voglia di fare un cazzo.

 

 

 

LE SENTENZE

Il fatto che è Stefano Puzzer si era abituato bene. Il Tar del Lazio (che in pratica è la Cassazione dei fancazzisti) all'inizio di aprile aveva annullato un provvedimento di cosiddetto Daspo (divieto di accesso) dopo che il 6 gennaio, a Venezia, Puzzer aveva partecipato a una marcia con altri mille persone per raggiungere Roma e quindi unirsi alla protesta dei No Vax; poi, tu guarda, Puzzer si era ammalato di Covid proprio cinque giorni dopo, cioè dopo una notte da ospite a casa di un altro No Vax, e aveva contagiato anche la moglie, o viceversa, non si è capito bene. Durante un'intervista del 7 gennaio (perché gente come Puzzer viene anche intervistata) aveva annunciato che non avrebbe fatto la terza dose. Covid a parte, Puzzer non avrebbe comunque potuto partecipare perché interdetto dall'entrare a Roma, ma sostò lo stesso con un tavolino e una sedia in piazza del Popolo. Il questore gli formalizzò un Daspo. Il Tar, poi, l'aveva annullato con motivazioni così fuori luogo che neanche le riportiamo. C'è anche poco da ridere, a guardar bene. Quando Puzzer ha detto «la prima preoccupazione è stato come comunicarlo alla mia famiglia» siamo arrivati al lato autenticamente drammatico del problema: agli innocenti che - al pari dei contagiati dal Covid - rischiano di andarci di mezzo solo perché un arcitaliano, nell'era del reddito di cittadinanza, pensa di poter tirare avanti con furberie e popolarità effimera e avvocaticchi. «Non possono permettersi di portarmi via la casa», ha detto: e lo speriamo anche noi, con lui, ma non per lui: per sua moglie e per i figli. In genere si dice: c'è chi sta peggio, c'è chi non ha un lavoro. Ecco: Stefano Puzzer l'aveva, e l'ha gettato via. 

 

 

 

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