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Fisco, la trappola dell'Agenzia delle Entrate: una risposta e ti fregano

Sandro Iacometti
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Avete presente il "quinto emendamento" dei polizieschi americani? Nessuno può essere obbligato a testimoniare contro se stesso. La norma esiste anche nel nostro ordinamento e ci consente di restare in silenzio di fronte a domande delle autorità che potrebbero inguaiarci. Ma se ci autoaccusiamo pensando di difenderci? Chi ha un minimo di esperienza di libri gialli o di legal thriller sa che l'eventualità non è così improbabile. Tento di scagionarmi e mi inabisso nel fango. Ruota intorno a questa ipotesi gran parte della nuova strategia del fisco per stanare gli evasori. Intendiamoci, non è che domani ci piomberà a casa Hercule Poirot per metterci alle strette con i suoi micidiali interrogatori. Il meccanismo è più semplice. E riguarda la possibilità da parte dell'Agenzia delle entrate, resa operativa con il decreto firmato in questi giorni dal ministro dell'Economia per risolvere i problemi legati alla privacy, di avvalersi dell'intelligenza artificiale e di sofisticati algoritmi per passare al setaccio l'enorme mole di dati in possesso degli esattori. Conti correnti, pagamenti elettronici, foto su Facebook, case e auto possedute, viaggi: tutto finisce nell'enorme cervellone del fisco, il quale sfornerà elenchi non di colpevoli ma di sospettati. Elenchi stilati sulla base di anomalie o incongruenze oppure semplicemente applicando delle equazioni che rivelano la potenziale pericolosità del contribuente.

 

 

GIUSTIZIA PREDITTIVA
È quella che viene chiamata la "giustizia predittiva", ultimo grido in materia di investigazioni tributarie, molto apprezzata anche dalla Ue, che consente di pizzicare l'evasore ancor prima che evada, attraverso l'elaborazione di indici di rischio. Il progetto, che si chiama "Un approccio basato sui dati per analisi del rischio di evasione fiscale in Italia" ed ha avuto la benedizione di Bruxelles un annetto fa, e innovativo, futuristico ed efficace. Ha solo un piccolo difetto: produce illazioni, non prove. Ed è qui che si richiederebbe l'intervento del fattore umano. Gli agenti del fisco, in altre parole, dovrebbero rimboccarsi le maniche, effettuare controlli specifici e, solo in seguito, prendere i dovuti provvedimenti. Troppo complicato. Il decreto che introduce l'algoritmo nella lotta all'evasione prevede anche la possibilità che all'esito delle analisi computerizzate vengano avviate le attività volte a stimolare l'adempimento spontaneo. Si tratta della famosa compliance: le simpatiche letterine (il fisco ne invia circa un milione l'anno) che arrivano a casa per segnalare ai contribuenti che qualcosa non torna e sarebbe meglio mettersi in regola.

 

 

AVVISO BONARIO
E qui arriva il bello, si fa per dire. L'avviso "bonario" fa scattare l'inversione dell'onere della prova. Se sei a posto, devi dimostrare di essere innocente. In caso contrario, l'Agenzia delle entrate ha delle direttive ben precise: i funzionari, si legge nella circolare sulle linee guida recentemente emanata, devono effettuare «un numero congruo di controlli al fine di consolidare la percezione che la mancata comunicazione all'Agenzia di elementi utili a giustificare l'anomalia segnalata o il mancato ravvedimento operoso comportano sempre un elevato rischio di essere sottoposti a controllo». Insomma, non rispondere significa finire sotto tiro. Il problema è che la trappola scatta anche nell'altro caso. Come spiega il Sole 24 Ore, nella compliance il fisco può limitarsi ad enunciare gli addebiti, spesso basati su elaborazioni statistiche, senza entrare nel dettaglio. Cosa che invece non può fare nell'atto impositivo in cui i "capi di accusa" devono essere ben specificati per dare al contribuente la possibilità di contestarli. Ed ecco il rischio: se rispondete per difendervi l'Agenzia delle entrate può utilizzare le vostre spiegazioni per dettagliare l'imputazione, senza neanche il bisogno di andare a verificare i fatti. Da questa prospettiva, sarebbe meglio aspettare la cartella fiscale. Tanto per evitare di fregarsi con le proprie mani. La sostanza è che quando il fisco ci scrive, onesti o no, sono sempre guai.

 

 

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