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Papa Francesco non è Papa? La clamorosa teoria di "Codice Ratzinger"

Gianluca Veneziani
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Il testo è costruito come una perfetta architettura in cui ogni elemento regge e spiega l'altro, in un'impeccabile consequenzialità logica. Certo, è lecito non essere convinti dalla tesi del libro e non credere allo scenario che il piano sconvolgente rivelato in quest' inchiesta aprirebbe. Ma la cura in forma e sostanza, unita al suo messaggio dirompente, aiuta a spiegare perché Codice Ratzinger (Byoblu, pp. 342, euro 22) di Andrea Cionci sia diventato un successo editoriale, considerando che è pubblicato da una piccola casa editrice: oltre 5mila copie vendute in soli due mesi, per diversi giorni secondo nelle classifiche dei bestseller Mondadori e Rizzoli, tuttora primo tra i libri di inchiesta più venduti.

E un interesse crescente a livello internazionale che lo porterà a essere tradotto in quattro lingue: inglese, francese, tedesco e spagnolo. Nonostante le diverse forme di ostruzionismo che in molte librerie portano gli acquirenti a sentirsi rispondere «Il testo non è disponibile», sebbene sia sempre ordinabile.

 

Ma è da capire. A essere scomodo è il contenuto stesso del libro, la cui tesi di fondo è riassumibile così: Ratzinger è tuttora l'unico Papa, Bergoglio è invece il pontefice illegittimo, o meglio l'antipapa. E questo concetto non si basa su fumoso complottismo, ma sull'interpretazione (anfibologica, cioè spesso con due significati) di documenti e dichiarazioni di Benedetto XVI, a cominciare dalla Declaratio del 11 febbraio 2013, l'atto con cui Ratzinger avrebbe formalizzato le sue dimissioni. Avrebbe, perché, secondo Cionci - che si avvale della consulenza di autorevoli teologi e giuristi - in quella comunicazione Benedetto XVI non ha mai rinunciato al suo ruolo e titolo, ma solo all'esercizio delle sue funzioni.

MUNUS E MINISTERIUM
Tutto verte intorno alla differenza tra i termini munus e ministerium, presenti nella Decalaratio e tradotti entrambi come «ministero». A leggere bene il testo originale, si scopre che Ratzinger dichiara «di rinunciare al ministerium del Vescovo di Roma», cioè a "fare il Papa," ma non abdica mai al suo essere Papa (il munus) limitandosi a dire che «le mie forze non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il munus petrino».

Dunque Benedetto XVI resta Papa, pur rinunciando alle sue funzioni. Né diventa Papa emerito, inteso come "papa in pensione" (l'istituto è giuridicamente inesistente), ma emerito nel senso di insigne, "avente diritto" a essere papa.

Ciò, avverte Cionci, viene due chiarito in altri due passaggi della Declaratio se tradotti correttamente. Ratzinger usa il verbo vacet non per parlare di una «sede vacante» che indica la sede pontificia pronta ad accogliere un nuovo pontefice dopo il Conclave, ma di una sede «libera, vuota», tale per cui il suo legittimo titolare non è presente, ma chiunque la occupa ne diventa un usurpatore. Si tratta del concetto di «sede impedita» da fattori interni ed esterni (i nemici di Ratzinger in Vaticano che si ammutinavano contro il suo pontificato, e i poteri a lui ostili fuori dalla Chiesa) che invalida qualsiasi elezione di presunti successori del Papa.

 

Questo concetto verrebbe esplicitato nel passaggio finale della Declaratio ove Ratzinger parla della convocazione di «un Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice da parte di coloro ai quali compete». Qui Benedetto XVI non userebbe l'espressione generica «cardinali», perché si riferirebbe solo a quei porporati legittimi, nominati prima del 2013, da Ratzinger o Wojtyla, escludendo quelli illegittimi incaricati dal nuovo "presunto" pontefice (Francesco). O, ci spiega Cionci, potrebbe alludere alla possibilità che «a nominare il nuovo Papa sia la comunità dei credenti, la Chiesa catacombale, come accadeva alle origini del cristianesimo». Con quell'atto dunque Ratzinger garantirebbe una vera Chiesa cattolica, ma ormai "fuoriuscita dalla Sinagoga". A ciò si aggiunge il fatto che la comunicazione di Benedetto XVI aveva un effetto differito (lui lasciò il soglio pontificio 17 giorni più tardi) e non venne confermata da una rinuncia formale scritta il giorno del suo addio, il 28 febbraio: entrambi gli aspetti contribuirebbero a invalidare la sua presunta rinuncia al pontificato.

VERITÀ VELATE
Tesi fanta-religiosa? Lecito pensarlo. Ma Cionci rivendica la bontà dell'idea, attingendo alle comunicazioni di Benedetto XVI, scritte e pronunciate in un linguaggio che lui definisce «Codice Ratzinger», fatto di non detti e verità appena velate, ma mai di menzogne. Benedetto XVI avrebbe architettato un geniale "scherzo", facendola in barba a tanti che lo avversavano e che poi lo hanno frainteso. Da qui l'uso di alcuni trucchi retorici, più o meno espliciti: ad esempio, il dire che «il Papa è uno solo», senza mai specificare quale, o lo scrivere «nessun papa si è dimesso negli ultimi mille anni e nel primo millennio è stata un'eccezione»: riferimento a quei due papi del I millennio che furono cacciati proprio da antipapi.

Resta il nostro dubbio sull'interpretazione di alcuni messaggi (vedi quello in cui si parla esplicitamente di «fine del pontificato»), sul fatto che nessun cardinale si sia accorto di questo piano papale e sulla sua efficacia. Ponendo il caso che sia vero, quante possibilità ci sono che, alla morte di Benedetto XVI, cardinali a lui fedeli ingrossino una Chiesa "rifondata" che proclami il suo successore? Temiamo scarse. E allora che senso avrebbe avuto il Codice Ratzinger?

Ma è giusto pure chiedersi perché nessuno abbia mai smentito l'autore, neppure Benedetto XVI quando Cionci gli ha scritto una lettera...

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