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Yara Gambirasio, Bossetti prova a riaprire tutto: svolta?

Claudia Osmetti
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È stato condannato (all'ergastolo) per l'omicidio di Yara Gambirasio, ma Massimo Bossetti è deciso a provare la sua innocenza e, adesso, chiede di indagare Letizia Ruggeri, cioè la pm che ha seguito il suo caso, perché, dice, i campioni biologici che lo hanno accusato non sono stati conservati adeguatamente. Non demorde, Bossetti. D'altronde è dal giugno del 2014, da quando è stato arrestato nella sua casa di Mapello, in provincia di Bergamo, che non fa che ripeterlo: che lui non c'entra con la scomparsa (prima) e la morte (successiva) della piccola Yara, la ragazzina tredicenne di Brembate di Sopra che il 26 novembre del 2010 è uscita, intorno alle 17.30, dalla palestra del suo paesino di montagna, e poi non l'ha più vista nessuno.
Una tragedia che ha scosso mezza Italia e che ha fatto discutere l'altra metà, col ritrovamento del corpo esattamente tre mesi dopo, una ricerca a tappeto del Dna di quell'"ignoto 1" che ha coinvolto migliaia di persone e, alla fine, ha portato a Bossetti. E quel processo, tutto giocato sulle analisi in laboratorio e sui video del furgoncino bianco: 711 testimoni, tre gradi di giudizio, un monte di udienze e un faldone infinito. No, Bossetti non si dà pace. Non ci sta. Non demorde, nella sua cella nel carcere lombardo di Bollate.
 

 

 

SUL BANCO Sul "banco degli imputati", questa volta, ci sono le 54 provette con le tracce biologiche miste di Yara e del suo assassino: solo che «dovevano essere conservate al freddo a meno 80 gradi», spiegano gli avvocati di Bossetti tra cui c'è Claudio Salvagni, «per evitare lo scongelamento e il conseguente deterioramento». Invece sono stati spostate dall'ospedale San Raffaele di Milano all'ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo: un viaggio sì e nodi 90 chilometri che, ora, potrebbe riaccendere le speranze della difesa.
Speranze racchiuse in una richiesta di opposizione presentata al foro di Venezia (che è competente sulla magistratura bergamasca), 70 pagine che verranno discusse a novembre, in cui i legali mettono in fila quel che è successo dal 12 ottobre del 2018 in avanti, ossia da quando la condanna di Bossetti è diventata definitiva senza che lui abbia mai potuto vedere da vicino la "prova regina" che, ancora adesso, lo tiene al gabbio. È una questione di date: il 26 novembre 2019 Salvagni chiede l'accesso ai campioni di Dna per esaminarli, ottiene l'autorizzazione ma non sa che, nel frattempo, la pm Ruggeri ha chiesto di spostarli, cosa il 21 novembre. Ma a Bergamo le provette arrivano appena il 2 dicembre, dodici giorni dopo. Cosa è avvenuto?
 

 

 

LE BUGIE Bossetti sollecita un'indagine denunciando proprio Ruggeri: il concetto è chiaro, sostiene che abbia mentito. La procura di Venezia archivia: «Non c'è alcuna prova di un piano orchestrato». E allora l'ex muratore di Mapello tira dritto: «Quei 54 campioni erano idonei a nuove analisi, le tecniche di oggi avrebbero risolto gravi anomalie». Lei, Ruggeri, il 10 marzo dell'anno scorso, incalzata dal procuratore vicario di Venezia che le riferisce come, secondo alcuni tecnici e il capo del Ris di Parma, effettivamente l'esame avrebbe potuto essere ripetuto, ammette di essere «abbastanza meravigliata. Dai verbali è emersa una cosa completamente diversa. Rimango veramente sorpresa». «False affermazioni», le bolla Bossetti, che avrebbero, tra l'altro, «condizionato» il procedimento. Per questo chiede al gip di Venezia di indagare la pm, assieme a Giovanni Petillo per «frode processuale e distruzione dolosa dei reperti». Va da sè che sono accuse pesanti e che la strada per chiedere la revisione del processo di Bossetti è ancora tutta in salita.

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