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Rave, ma che festa di libertà? Perché quella è solo sub-cultura

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Corrado Ocone
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Un vecchio professore del'Università di Napoli insegnava che il vero nemico della libertà è il sofisma, cioè un ragionamento apparentemente logico ma che invece mette insieme idee vere e presupposti falsi, confondendo le idee e generando divisioni. Scorrendo giornali e siti si può dire che questo metodo sia messo in opera potentemente in questi giorni dai grandi mezzi di comunicazione, più o meno di sinistra, come reazione ai primi provvedimenti del governo, e soprattutto a quello concernente la legalizzazione dei cosiddetti rave party. I quali, appunto, sono proliferati nel nostro Paese in una sorta di zona franca ed eslège che ha impedito alle forze dell'ordine di agire come di norma.

 

Ieri, ad esempio, Repubblica è uscita con una intervista in bella evidenza ad un manager italiano che vive a Berlino e che dice di essere scappato «dall'Italia berlusconiana e dai sindaci-sceriffo che sgomberavano i centri sociali». Cosa che in Italia, tranne pochi casi, è successo raramente, mentre la regola, come si diceva, è stata appunto il contrario.

FALSO RAGIONAMENTO
Ma gli elementi che più stupiscono del falso ragionamento o sofisma portato avanti è l'affermazione che in Germania, e in altri Paesi che il nostro considera evidentemente più "evoluti", ciò non avverrebbe perché si sarebbe capito che «i rave sono cultura» (sic!). In verità, ciò che accade in altri Paesi è ben diverso da quello che accadeva fino a ieri in Italia: manifestazioni equiparabili ai rave e molto libertine, diciamo così, come la Love Parade di Berlino, si svolgono normalmente perché lo Stato non può farsi pedagogo o moralizzatore, non può e non vuole dare lezioni di morale privata e di buon gusto a chicchessia.

Esse si svolgono però entro i rigidi limiti stabiliti dalla legge, che vale per tutti. Le manifestazioni sono convocate pubblicamente e in date prestabilite e concordate, si svolgono in zone predeterminate, non possono invadere proprietà private, gli organizzatori rispondono alla legge per eventuali danni e intemperanze compiute nel corso di esse.

 

L'elemento che però lascia più allibiti è il voler far passare per cultura quella che è forse per alcuni una forma di divertimento (legittimo nei limiti suddetti), ma perla maggioranza delle persone è una forma di degenerazione che allontana i giovani proprio dalla cultura. Come è possibile arrivare ad argomentare ciò? Le vie sembrano due: o si giudica cultura ogni espressione del genere umano, alla maniera degli antropologi, ma è evidente che ove tutto è cultura niente nello specifico lo è (posizione relativistica e nichilistica quante altre mai); oppure cultura è tutto ciò che è di sinistra e per il solo fatto di esserlo, il che è una posizione partigiana e strumentale come ognuno in buona fede può giudicare.

MA QUALE "RISORSA"
Al massimo può capitare che gli studiosi parlino di "subculture giovanili", ma certo nello sballarsi, stordirsi e drogarsi (che ognuno è libero di fare nella misura in cui reca danno solo a sé e non anche agli altri) di quella cultura classica che ha contraddistinto la nostra civilizzazione non c'è nulla. C'è anzi un disumarsi e un bestializzarsi (vi ricordate i cosiddetti "punk bestia"?) i cui pericoli proprio le persone di cultura avrebbero il dovere di denunciare. Danilo Rosato, così si chiama il manager scovato da Repubblica, dice che l'Italia è «un Paese che odia i giovani, che considera un problema invece che una risorsa». 

Si può facilmente concordare. Ma proprio perché dovrebbe considerarli una risorsa dovrebbe far funzionare meglio le proprie scuole ed università e premiare il merito, non costringendoli sì a scappare ma per questo e non per meno nobili motivi. Considerare i rave una risorsa sarebbe un'ennesima presa in giro dei giovani, un esaltarne l'ignoranza e un tenerli lontana dalla vera cultura. Cioè un modo, in ultima analisi, per non farli emancipare e asservirli ancora di più ai poteri che vogliono manipolarli.

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