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Treviso, il dramma delle suore di clausura: cosa si vendono per pagare le bollette

Caterina Maniaci
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Treviso in attesa del Natale. Luci, addobbi, le onnipresenti casette dei mercatini natalizi. C'è di tutto, come accade in qualsiasi altra città italiana, in questo periodo. Ma girando lungo le vie del centro, reso ancora più affasciante dalle atmosfere festive, ci si imbatte in una bancarella diversa dalle altre. Sono esposti centrini, dolci, liquori, saponi, tutti rigorosamente fatti "a mano", artigianalmente, dalle suore di clausura. Che non chiedono, questa volta, un'offerta per opere di carità, per le missioni in giro per il mondo, ma la chiedono per se stesse. I costi del riscaldamento sono diventati talmente alti, proibitivi che le suore del monastero delle Visitazione delle Corti di Treviso non ce la fanno più a sostenerli. Del resto, il luogo meraviglioso, anche un po' misterioso, in cui vivono, un edificio di oltre 400 anni di storia, è un susseguirsi di stanze, di locali, di cortili, e riscaldarlo è ormai un'impresa.

IN ESPOSIZIONE
Le suore non hanno mai vissuto se non nella povertà, ma ora scendono in piazza, in senso figurato, per sostenersi e chiedere sostegno. Perché le hanno provate tutte, con piumini e coperte, ma non è più possibile. E allora sfruttano le loro capacità manuali, così non chiedono solo offerte, ma vendono i loro prodotti, con una marcia in più: la volontà di non cedere, di voler rimanere nel loro monastero, di continuare ad essere segno concreto di una presenza diversa, di una scelta di vita davvero radicalmente alternativa, nel silenzio, nella preghiera.

Se ci si sposta di una cinquantina di chilometri, a Padova, per restare in terra veneta, nei giorni scorsi un altro monastero, quello delle clarisse di san Bonaventura, ha lanciato il suo mercatino. Altro luogo appartato, nascosto, a pochi passi dallo sfavillio del Prato della Valle vestito di luci e della folla in piena frenesia prenatalizia. Le suore hanno aperto le porte della loro "casa" per raccogliere offerte, anche in questo caso a beneficio dello stesso monastero. Sono rimaste in poche, quasi tutte anziane e dalla salute malferma. Eppure ecco allineate in piccoli banchi improvvisati delizie varie: marmellate, crostate soffici, bottiglie di liquore ambrato, cuffiette in lana, caramelle al miele...

MANICHE RIMBOCCATE
Le suore, insomma, si rimboccano le maniche, tentano di "fare rete" e di affrontare le crisi che si susseguono l'una all'altra. Lo fanno da molto tempo, ma ora raddoppiano impegno e sforzi per non cedere, per far sentire più forte la loro voce e la loro presenza. Perché, nonostante la tendenza generale di una crisi vocazionale, non lo sono quelle della clausura e del monachesimo. Attualmente, nel mondo i monasteri degli ordini claustrali sono circa 3.400, mentre le suore di clausura sono più o meno 38.000, più della metà delle quali in Italia e in Spagna.

IL PUNTO
A inizio novembre a Roma si sono ritrovate circa 80 tra clarisse e cistercensi, benedettine e carmelitane, e molte altre appartenenti ad altri ordini, per «comprendere meglio le necessità a livello di gestione economica, amministrativa, fiscale perle comunità monastiche» e per condividere esperienze lavorative e idee su come muoversi nei mercati. Riscaldare e gestire ambienti che spesso superano il 10.000 chilometri quadrati, con presenze limitate. Eppure, vale la pena di resistere e di tentare, perché alla fine il marchio "made in monastero" piace, visto anche il desiderio sempre più diffuso di trovare sapori autentici. Le suore di Vitorchiano, nei pressi di Viterbo, hanno messo in piedi un laboratorio di cosmesi e vere aziende agricole. Nel monastero di Potenza esiste una cooperativa per la panificazione, ereditata da una delle sorelle. E le benedettine di Sant' Anna a Bastia Umbra hanno iniziato recentemente a utilizzare terreni di loro proprietà o intorno al monastero per la raccolta di olive e la coltivazione di malto, grano e altri cereali.

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