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Università? Servono medici, adesso basta con il numero chiuso

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Claudia Osmetti
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Via il numero chiuso a Medicina. Il ministro dell'Università Annamaria Bernini (Forza Italia) prende il toro per le corna: mancano sempre più medici, sono almeno 20mila quelli che servirebbero; invece aumentano quelli che vanno in pensione (si stima almeno 50mila nei prossimi cinque anni) e se continua così saranno dolori. Letteralmente. Ché poi ti ritrovi con i pronto soccorso congestionati e le corsie vuote. La soluzione? Aprire le facoltà e i corsi di specializzazione a chiunque abbia voglia di indossare un camice per lavoro. Per questo Bernini, ieri, ha istituito una commissione. Uun team di esperti che dovrà «esaminare e approfondire le criticità afferenti alla carenza di medici e professionisti sanitari nell'ambito del Ssn, misurare l'entità del fenomeno e individuare le cause e le possibili soluzioni».

 

 

 

TESTA DA RIVEDERE

Vuol dire che nel 2023 i test ci saranno ancora, ma poi chissà. Vuoi vedere che è la volta buona? «Abbiamo la necessità di adeguare le capacità e l'offerta potenziale del sistema universitario. Vogliamo, entro il primo trimestre di quest' anno, offrire una prima risposta per definire un programma di accesso alla facoltà di Medicina, un programma ragionato ed efficace», spiega Bernini: «Siamo aperti al confronto, alla valutazione di ogni tipo di esperienza, comprese quelle estere, a un dialogo costruttivo che ci faccia uscire dall'attuale immobilismo».

La commissione sarà presieduta da Eugenio Gaudio, che è un professore ordinario all'università La Sapienza di Roma e coinvolgerà, oltre al ministero della Salute, anche la Conferenza delle Regioni. Perché la partita si gioca lì, sul campo. Quello dell'ateneo (prima) e dell'ospedale (dopo). Occorre sinergia, occorre collaborazione, occorre darsi una mossa perché le aree di primo intervento con pazienti che aspettano ore (se va bene) o giorni (se va male), in questo periodo, tra il Covid e l'influenza, li abbiamo visti tutti. È della nostra salute (leggi: della nostra pelle) che stiamo parlando. E infatti il plauso è praticamente bipartisan. Per un Luca Zaia (governatore leghista del Veneto) che commenta: «È da molti anni che denuncio i problemi causati dal numero chiuso per l'accesso alla facoltà di Medicina, finalmente questo governo dà un segnale concreto che interrompe il nulla di fatto», c'è uno Stefano Bonaccini (presidente della Regione Emilia Romagna, in quota dem) che aggiunge: «L'esecutivo ci troverà pronti a un confronto serio e costruttivo: superare l'imbuto formativo non è un problema di destra odi sinistra, ma una necessità del Paese». Vero, anzi: verissimo.

Il Codacons, l'associazione dei consumatori, si chiera a favore: è «una nostra vittoria», dice il presidente Carlo Rienzi. Da anni «conduciamo una battaglia contro gli assurdi limiti all'accesso alle università sfociata in numerosi ricorsi al Tar». Uno che questi ricorsi li conosce a menadito è l'avvocato Cristiano Pellegrini Quarantotti. Esperto di diritto amministrativo, il suo studio ha seguito molti casi: «L'accesso ai corsi di laurea di Medicina è stata oggetto di un rilevante contenzioso dinanzi alla giustizia amministrativa», spiega, «che ha portato all'accoglimento di numerosi ricorsi sia in relazione alla discutibile struttura del sistema, sia al numero dei posti messi a concorso annualmente dal ministero. Anche per l'ultimo anno accademico sono stati banditi molti meno posti rispetto al fabbisogno professionale di medici».

 

 

 

LA LEZIONE DEL COVID

«Questo aspetto, oltre a costituire un profilo di illegittimità, costituisce una criticità importante. È auspicabile che vi siano interventi concreti volti a superarla». Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è che farsi trovare impreparati davanti a un'emergenza sanitaria è un errore madornale. E formare più medici possibili è il primo passo per non evitarlo. 

 

 

 

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