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Vaticano, Ratzinger e le accuse postume: "Pornografia e club gay"

Francesco Capozza
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«Questo volume, che raccoglie gli scritti da me composti nel monastero Mater Ecclesiae, deve essere pubblicato dopo la mia morte. La curatela l’ho affidata al dottor Elio Guerriero, che ha scritto una mia biografia in lingua italiana ed è da me conosciuto per la sua competenza teologica. Per questo gli affido volentieri questa mia ultima opera». Termina così la breve nota introduttiva al libro postumo di Benedetto XVI Che cos’è il Cristianesimo il cui sottotitolo è da brivido, Quasi un testamento spirituale, pubblicato da Mondadori e già destinato a fare scalpore, inserendosi come un macigno nel turbinio di pubblicazioni che nelle ultime due settimane hanno terremotato il Vaticano di Papa Francesco.

In una lettera inviata proprio ad Guerriero, oggi curatore di quest’opera insieme all’immancabile Georg Gänswein (che comunque è pur sempre l’esecutore testamentario del Papa defunto), Ratzinger aveva motivato la sua scelta di pubblicare questi scritti solo dopo la sua morte con una dichiarazione fortissima: «Da parte mia - scrive Benedetto XVI - in vita, non voglio più pubblicare nulla. La furia dei circoli a me contrari è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino. Voglio risparmiare questo a me stesso e alla cristianità».

 

Una dichiarazione sconvolgente che rende palese la sofferenza e un certo sconcerto che deve aver provato il Pontefice negli ultimi anni di vita e che ci riporta con la memoria a quanto accadde in occasione della pubblicazione del libro Dal profondo del nostro cuore del Card. Robert Sarah quando, con una maldestra operazione comunicativa, la firma di Benedetto XVI venne apposta in calce al volume assieme a quella del porporato scatenando l’ira di Francesco e provocando, tra le altre cose, la defenestrazione sostanziale di Georg Gänswein dal ruolo di Prefetto della Casa pontificia.

E pensare che in prima battuta Ratzinger sembrerebbe limitare questo lavoro ad una raccolta di scritti teologici soprattutto inediti, la medesima introduzione infatti esordisce con quella che potrebbe sembrare una premessa rassicurante: «Quando annunciai le mie dimissioni, non avevo piano alcuno per ciò che avrei fatto nella nuova situazione. Ero troppo esausto per poter pianificare altri lavori. Inoltre, la pubblicazione de L’Infanzia di Gesù sembrava una conclusione logica dei miei scritti. Dopo l’elezione di papa Francesco ho ripreso lentamente il mio lavoro teologico. Così, nel corso degli anni, hanno preso forma una serie di piccoli e medi contributi, che sono presentati in questo volume».

NESSUNO SCONTO
Respiro di sollievo nell’entourage di Bergoglio? Nemmeno per sogno. Gli scritti di Benedetto XVI contenuti in questa raccolta postuma entrano a spada tratta su temi scabrosi per la Chiesa troppo spesso (goffamente) celati. Il defunto Pontefice parla per esempio dell'omosessualità e del fatto che ci siano dei veri e propri “club” gay nei seminari. Riferendosi all’incontro che Papa Francesco aveva convocato con i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo sul tema degli abusi, Ratzinger evidenzia in un appunto che a lui «sta a cuore soprattutto la questione della vita sacerdotale e inoltre quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata in effetti un ampio collasso della forma vigente di questa preparazione».

Successivamente Benedetto XVI sottolinea: «In diversi seminari si sono formati dei “club” omosessuali che agiscono più o meno apertamente e che chiaramente trasformano il clima nei seminari stessi. In un seminario nella Germania meridionale, per esempio, i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano insieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figli e in qualche caso dalle loro fidanzate o fidanzati. Questo clima in un seminario non può aiutare la formazione sacerdotale».

 

Poi riferisce, non senza un velato mix di ironia e disgusto, che «un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva permesso di mostrare ai seminaristi dei film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere contro un comportamento contrario alla fede».

FINE DELL’IPOCRISIA
Ratzinger non cela neppure il proprio rammarico perché «in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano celati come letteratura dannosa e venivano per così dire letti solo di nascosto», e questo la dice lunga sul clima tutt’altro che sereno con il suo successore e la nuova stagione bergogliana. Per anni il mainstream ci ha voluto far credere che il Papa argentino consultasse «il nonno saggio» (definizione coniata da Francesco e per nulla apprezzata da Benedetto). 

Ci hanno anche voluto inculcare l’idea che Ratzinger fosse considerato sempre e comunque un faro che illumina la cattolicità con il suo magistero e le sue opere, ma ora le parole messe nero su bianco dallo stesso Benedetto XVI smontano definitivamente questo castello di menzogne costruito negli ultimi dieci anni e ci consegnano una bieca verità che, se vogliamo, è anche decisamente triste. Il fatto che Ratzinger dica, e soprattutto scriva, apertamente che le sue opere teologiche erano spesso sconsigliate e, anzi, in taluni casi censurate, fa pensare ad una novella Santa Inquisizione che nessuno poteva immaginare.

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