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Alfredo Cospito "sottoposto a Tso": lo scenario, bomba sul governo?

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 Alfredo Cospito

Fausto Carioti
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Lo sciopero della fame di Alfredo Cospito dura da 109 giorni e già ha scosso maggioranza e opposizione, ma tutto deve ancora accadere. Il problema politico non riguarda la sua condizione carceraria: il governo ha già fatto sapere che non intende sottrarlo al 41-bis e non cambierà idea. Giorgia Meloni lo ha ribadito ieri, commentando le manifestazioni violente inscenate dagli insurrezionalisti per ottenere l’abolizione del regime di carcere duro per l’anarchico abruzzese e tutti gli altri: «Lo Stato non deve trattare con la mafia e credo anche che lo Stato non debba trattare con chi lo minaccia».


 

Netto pure Matteo Salvini: «Se ti hanno condannato all’ergastolo un motivo ci sarà e se ti hanno dato il 41-bis te lo fai». Pronunciamenti che però non rispondono alla domanda più importante, che rimbalza in questi giorni tra palazzo Chigi, il ministero della Giustizia e i medici incaricati di seguire il detenuto: Cospito potrà essere sottoposto ad alimentazione forzata, se le sue condizioni di salute la renderanno necessaria per garantirne la sopravvivenza?

NESSUN PRECEDENTE
L’avvocato Flavio Rossi Albertini, difensore di Cospito, ha già inoltrato la diffida al ricorso a questa procedura a nome del suo assistito. La volontà del terrorista, insomma, è chiara: non vuole essere sostentato, è pronto a proseguire con lo sciopero sino alla morte, se la sua richiesta di cancellare il carcere duro non sarà accolta.
Questa dichiarazione diventerebbe “operativa” nel momento in cui le condizioni fisiche di Cospito dovessero peggiorare al punto da fargli perdere la coscienza. Avrebbe il valore delle Dat (le dichiarazioni anticipate di trattamento, chiamate anche “testamento biologico”), se Cospito fosse una persona in regime di libertà. Ma non lo è. $ rinchiuso in carcere, peraltro sottoposto a una limitazione della libertà più accentuata rispetto a quella di un normale detenuto. Nel suo caso, quindi, confliggono due elementi. Da un lato c’è la legge del 2017, che impone al medico di non ricorrere ad idratazione e alimentazione obbligatorie, parificate al trattamento sanitario, in presenza di una dichiarazione esplicita del paziente che vada in questa direzione. Dall’altro c’è il fatto che, quando lo Stato prende in carico un detenuto, se ne assume la responsabilità. Motivo per cui, in ogni istituto di pena, una delle preoccupazioni principali è impedire che gli individui rinchiusi abbiano strumenti con cui offendere se stessi o suicidarsi, come le lamette. Due principi non conciliabili, ma che in qualche modo dovranno essere “composti”. Un caso senza precedenti.

Una decisione complicatissima dal punto di vista giuridico, etico e politico, che non spetterà solo ai medici. «Vista la delicatezza del caso», spiega un magistrato che segue la vicenda, «ci sarà quantomeno una consultazione tra i medici e la struttura penitenziaria, quindi il ministero della Giustizia». Ed è probabile che il ministero di Carlo Nordio, o la stessa presidenza del Consiglio, chiedano un parere al Comitato di bioetica presieduto dal professor Angelo Luigi Vescovi. Un gruppo di trentatré luminari, rinnovato due mesi fa, che ha come primo compito proprio quello di prestare consulenza al governo in simili casi controversi. Creato nel 1990, questo organismo mai si è trovato ad affrontare una vicenda simile. Tredici anni fa, però, si espresse sulle responsabilità dello Stato dinanzi ai suicidi in carcere, pubblicando un «orientamento bioetico» che potrebbe applicarsi anche al caso attuale. «L’incolumità dei detenuti», si legge in quel documento, «è un dovere dell’amministrazione penitenziaria», alla quale spetta quindi «la prevenzione del suicidio», che «rientra a pieno titolo nella difesa della salute e della vita» di chi è in carcere. Parole che mettono in capo allo Stato l’obbligo di impedire la morte di ogni detenuto. Al comitato non è ancora stato chiesto di emettere un parere sull’alimentazione forzata di Cospito, ma potrebbe ricevere questo incarico anche in tempi brevi, se le sue condizioni di salute si aggravassero rapidamente.



LA CASSAZIONE
Gli avvocati dell’anarchico, intanto, confidano sulla Corte di Cassazione, che il 24 febbraio dovrà decidere se accogliere o respingere il ricorso con cui costoro hanno chiesto la revoca del carcere duro per il loro assistito. Gli ermellini sono giudici di legittimità, non di merito, e dunque quel giorno potranno cassare o riformare il provvedimento con cui il tribunale di sorveglianza, a dicembre, ha rigettato la richiesta di togliere Cospito dal regime di carcere duro, solo se lo ritenessero incoerente o mal motivato. In pratica, avranno davanti tre strade. La prima è il rigetto del ricorso dei legali dell’anarchico, la seconda è cassarlo senza rinvio, che significherebbe fare uscire immediatamente Cospito dal 41-bis, e la terza prevede di cassarlo e rinviarlo al magistrato di sorveglianza, che a quel punto dovrebbe emettere un nuovo provvedimento aderente ai principi dettati dalla Cassazione. La decisione sull’alimentazione forzata di Cospito, però, potrebbe essere presa prima. L’anarchico continua a rifiutare gli integratori e si nutre solo di acqua, sali e zucchero. Il rischio di crisi cardiache è aumentato e il presidente del tribunale di Sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa, assicura che è «monitorato con la massima attenzione». L’ipotesi di un suo ricovero all’ospedale San Paolo di Milano, che ha un reparto penitenziario, è sempre più concreta.

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