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Cai, che bestemmia vietare le croci sui monti

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Daniele Dell'Orco
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Il Club alpino italiano (Cai) ha inaugurato un insensato “croci -gate” tipico della cultura della cancellazione e per di più motivato con delle scuse campate in aria. A lanciare la campagna contro le croci sulle vette è stato lo “Scarpone”, lo storico portale dell’associazione: «La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha senso innalzarne di nuove?

Probabilmente la risposta è no». Insomma, vengono considerate “anacronistiche” e “divisive”. Il motivo è chiaro: la croce non si coniuga più con «un presente caratterizzato da un dialogo interculturale, che va ampliandosi, e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali». Mentre la base dei soci è divisa, le guide di Alagna (Vercelli) hanno già cominciato a rimuoverle per ammassarle in un memoriale.

Oltre all’artico sullo “Scarpone”, questa proposta è stata lanciata durante un incontro all’università Cattolica di Milano, in occasione della presentazione di un libro dedicato al legame tra montagna e religione, dal papa “montanaro” Giovanni Paolo II fino al rapporto profondo tra spiritualità, riflessione e natura. Gli astanti hanno tutti convenuto sulla necessità di mantenere le croci esistenti in quanto «testimonianze significative di uno spaccato culturale» ma, allo stesso tempo, «evitare l’installazione di nuovi simboli sulle cime».

Per i motivi di cui sopra a cui se ne è aggiunto uno più “terra terra”: smettere di «preoccuparsi del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, occuparsi della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli)». Per la verità già in base a un certo anticlericalismo aveva attecchito nel settore, tanto che l’anno scorso erano fioccate polemiche per la croce dedicata proprio a Wojtyla da installare sulla vetta del Monte Baldo. 

COME CON I RIFUGI
Il passaggio che è di fatto diventato caso politico resta quello ideologico. Nel presente non ci sarebbe però più spazio per i simboli religiosi: «Un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il Cai a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne». Il Club specifica che «è lo stesso metro che il sodalizio ha adottato con i rifugi e con le vie ferrate, prendendosi cura delle strutture esistenti e, al contempo, dichiarandosi contrario alla realizzazione di nuovi innesti».

I partiti politici di centrodestra sono insorti: «Resto basita dalla decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero – attacca il Ministro del Turismo Daniela Santanchè – Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto». E aggiunge: «Un territorio si tutela fin dalle sue identità e le identità delle nostre comunità è fatta di simboli che custodiscono nel tempo la storia e valori. Invito il presidente del Cai a rivedere la sua decisione».

ADDIO CULTURA
Matteo Salvini invece su Facebook si è sfogato: «Rispetto le idee di tutti, amo la montagna e penso che il Cai faccia un lavoro enorme per tutelarla e valorizzarla. Penso però che la proposta di “vietare” il crocifisso in montagna perché “divisivo e anacronistico” sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso, che nega la nostra Storia, la nostra cultura, il nostro passato e il nostro futuro».

Al coro di disappunto si è aggiunto Gianni Alemanno: «L’iniziativa del CAI contro le nuove Croci sulle vette delle montagne è solo un atto di arroganza inutile ed offensivo» ha dichiarato l’ex sindaco di Roma, appassionato di alpinismo e presidente onorario della spedizione per il cinquantenario della conquista italiana del K2. «Il CAI non ha nessun titolo per vietare o condannate la posa di nuove Croci e simboli religiosi sulle vette delle montagne - ha puntualizzato - Ha solo il compito di diffondere la cultura alpinistica e di custodire i rifugi che sono ad esso affidati. Non ha nessun titolo per intervenire su questi aspetti sombolici e religiosi, tra l’altro adducendo motivazioni folli ispirate alla cancel culture che domina negli ambienti progressisti». Per essere precisi si tratta di una nuova invenzione: la cancel culture della manutenzione.

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