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Il mio viaggio impossibile alle Hawaii: un'odissea in volo

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Matteo Legnani
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L’Apollo 11 ci ha messo tre giorni (esattamente 73 ore) per raggiungere il Mare della Tranquillità da Cape Canaveral. Io e la mia famiglia ce ne abbiamo messi altrettanti, di giorni, per raggiungere le Hawaii da Milano. Un viaggio che, di norma, dura un giorno e mezzo (con uno scalo a New York o sulla costa occidentale degli Stati Uniti).

L’odissea (come ho raccontato al sito per frequent flyer theflightclub.it) è iniziata all’aeroporto di Milano Malpensa in una bella mattina di fine luglio. Arrivati al Terminal 1 abbiamo appreso con orrore che il nostro volo Lufthansa per Francoforte aveva due ore di ritardo e che, di conseguenza, avremmo sicuramente perso la coincidenza per Los Angeles, prevista 80 minuti dopo l’orario di arrivo del volo da Milano.

Al banco accettazione abbiamo fatto notare che il pomeriggio del giorno successivo avremmo dovuto imbarcarci su un volo American Airlines da LA a Maui, e che dunque sarebbe stato cruciale, per noi, poter raggiungere la città californiana entro la sera del giorno di partenza.

L’addetta al check-in (non dipendente di LH), peraltro molto disponibile, ci ha detto che l’unico modo per raggiungere LA in serata sarebbe stato con United via Newark in Economy. Noi, però, avevamo prenotato in Premium Economy e abbiamo chiesto di essere riprotetti nella stessa classe di viaggio o con un eventuale upgrade.

Dopo oltre venti minuti di attesa ci è stato risposto che quel giorno non c’erano posti su alcun volo del Gruppo Lufthansa per Los Angeles in Premium Economy e che l’unica possibilità sarebbe stata quella di volare su Chicago e proseguire poi la mattina successiva per Los Angeles con United Airlines. A quel punto, ho chiesto di parlare con la capo scalo di Lufthansa, che mi è stata passata al telefono trovandosi non a Malpensa ma a Linate. La quale mi ha spiegato che la politica aziendale non consente upgrade di classe nell’ipotesi di riproteggere un passeggero (cosa che in passato, invece, Air France e British mi avevano consentito di fare) per una coincidenza sfumata.

Sconsolati, abbiamo accettato di andare a Chicago. Alla fine, il volo per Francoforte è partito con ben tre ore di ritardo, ma arrivati all’hub tedesco siamo comunque riusciti a imbarcarci per gli Stati Uniti.

Il volo transatlantico è filato liscio. Atterrati a Chicago ci siamo rivolti, assieme ad altri passeggeri che erano stati ‘dirottati’ lì, ai banchi transiti di United Airlines, dove siamo stati messi sul volo in partenza la mattina successiva per Los Angeles alle 10.50 e arrivo previsto alle 12.30. Insomma, con un buon margine per imbarcarci sul volo American (preso con gli Avios Executive Club) per Maui, previsto alle 17.

La notte l’abbiamo trascorsa, a spese di Lufthansa, in un hotel vicino all’aeroporto di O’Hare e il mattino successivo alle 9 ci siamo presentati al terminal di United. Dove, con rinnovato orrore, abbiamo scoperto che sia il volo delle 10.50, sia quello successivo, erano stati cancellati. Prima partenza disponibile alle 13.55. Cioè troppo tardi per essere a LA in tempo per il volo per le Hawaii.

Nell’attesa ci siamo recati al Terminal di American, per chiedere se ci fosse la possibilità di spostare il volo di quel pomeriggio per Maui al giorno successivo. L’efficientissima addetta alle customer relations ha armeggiato per una decina di minuti al computer e ci ha ‘trasferito’ sul volo del giorno successivo. I posti che avevamo scelto sull’A321neo di American per Maui, insieme ai 75 euro spesi per bloccarli, sono andati a farsi benedire, ovviamente.

La stessa addetta di American (da United nessuno ce lo aveva detto) ci ha suggerito di chiedere a United una ‘letter of delay’, grazie alla quale avremmo potuto ottenere una notte gratis in hotel a Los Angeles.

Intorno alle 14, sfiniti, amareggiati (per il giorno di vacanza perso in un paradiso come le Hawaii, non, con tutto il rispetto, a Riccione) e con la ‘letter of delay’ in tasca, siamo finalmente decollati per Los Angeles.

Tre ore e mezza dopo, quando mancavano pochi minuti alle 17, abbiamo ritirato i nostri bagagli al terminal United del Los Angeles International Airport, ci siamo trasferiti a quello attiguo di American dove abbiamo avuto conferma della nostra ‘presenza’ sul volo del giorno successivo alle 17 per Maui. Quindi, abbiamo fatto ritorno al Terminal di United dove, presentando la ‘letter of delay’, la caposcalo non ha battuto ciglio e ci ha prenotato una stanza con colazione allo Sheraton LAX.

Magra consolazione, visto che la stanza che avevamo prenotato per la notte precedente a LA (260 euro) era andata persa (mentre eravamo riusciti in extremis a cancellare la prenotazione per la prima notte in hotel a Maui e a spostare di un giorno l’inizio del noleggio dell’auto sull’isola- ovviamente tutta fatica e stress in più).

L’odissea si è conclusa quando intorno alle 19.30 del terzo giorno di viaggio siamo scesi dall’’Airbus di American e abbiamo ritirato i bagagli a Maui. La nostra vacanza è potuta iniziare (con 24 ore di ritardo), dopo il viaggio più faticoso e stressante che io abbia mai fatto. Per mia fortuna io parlo un ottimo inglese, sono un frequent flyer e un appassionato di aviazione e di fronte a situazioni impreviste e imprevedibili so come muovermi, cosa chiedere e a chi per arrivare comunque a destinazione contenendo i danni. Ma mi chiedo: cosa sarebbe successo, in un simile frangente, al ‘viaggiatore medio’?

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