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Autovelox fatto esplodere? Clamoroso in Veneto: indagati due vigili

Francesco Specchia
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Il dio degli automobilisti esiste, e col codice della strada in mano, alla fine ha lanciato le sue folgori. A memoria di cronista, per la prima volta nella triste storia italiana delle contravvenzioni pazze, vengono indagati a Cadoneghe, nel Padovano, due vigili urbani, di cui uno (dettaglio non irrilevante) il facente funzione di comandante Giampiero Moro. Sia benedetto il dottore Benedetto Roberti sostituto procuratore di Padova. Il quale pm, indagando sull’attentato a due autovelox installati lunga la strada regionale 307 (in un mese 24mila euro di multe a raffica di mitragliatrice, 20-30 sanzioni al singolo automobilista nello stesso giorno), ha scavato più a fondo, oltre la contravvenzione, fino agli anfratti delle coscienze. E si è umanamente chiesto quale tipo di esasperazione possa spingere un coscienzioso contribuente a trasformarsi nel ormai famigerato “Robin Hood degli autovelox”, e a far esplodere i tralicci armati di telecamera e di tachimetro regolabile a seconda delle esigenze dei bilanci comunali.

SPIRALE D’INCUBO
E la conclusione di tutto ciò è l’iscrizione della polizia municipale nel registro degli indagati per falso in atto pubblico, con tanto di perquisizione dei caramba degli uffici della polizia locale, e con tanto di sequestro di documentazione e personal computer. Materiale che ora sarà vagliato e valutato dalla Procura. Soprattutto considerando i ricorsi di battaglioni di associazioni dei consumatori ingoiati dalla vorace tendenza del Comune di fare cassa. La vicenda del paesello veneto nella morsa della multa selvaggia sta diventando –oseremmo- l’emblema di una nuova battaglia di civiltà. Il 9 agosto scorso, propria a Cadoneghe, di fronte alla sede della polizia locale, si improvvisò un sit in degli automobilisti castigati rilevatore manipolato: su quel tratto di strada precedentemente si registrava il limite dei 70 chilometri orari. Poi l’arteria, passata sotto la gestione diretta del Comune, si è ritrovata col limite sceso a 50 km/h. Senza avvertire.

L’autovelox usata come arma di distruzione di massa causò seri problemi di stress e psicologici anche a Antonella Bordin, volenteroso medico di base che ogni giorno percorreva la 307 per assistere i pazienti, e destinataria in due settimane di 8 multe per oltre 700 euro. Bordin è stata costretta a infilarsi in una terrificante giostra di sanzioni, di ricorsi e d’opposizioni che le hanno tolto il sonno. La capisco. E capisco anche la spirale d’incubo in cui sono precipitate le migliaia di automobilisti della Romea, della Valsugana, della Postumia, della regionale 108; o anche della 372 Telesina che si snoda al sud dal casello di Caianello della A1 Milano-Napoli e arriva a Benevento, in un tratto di circa 25 km, dove si contano, vigliaccamente, ben sette postazioni autovelox per senso di marcia. A Milano Linate, poi ha svettato per anni quest’autovelox più volte fuorilegge che sembrava un palo di tortura dell’Inquisizione spagnola.

 


La gran parte di questi autovelox vengono, di solito, smontati dalle sentenze dei pretori o dei prefetti che ne accertano la cocciuta irregolarità. I Comuni fingono di obbedire alle disposizioni di legge: nicchiano per i primi anni e poi, molto spesso, riattivano quei marchingegni del diavolo a pochi centinaia di metri da dove erano stati costretti a smontare i precedenti. E accade anche con i divieti di sosta tarocchi e inesistenti; e con le multe fioccate da ausiliari del traffico che non hanno l’autorità per farle; e con l’invio di cartelle scadute, false o nulle; e con l’onere delle prova, insomma, sistematicamente invertito. È una guerra continua, sporca e asimmetrica contro il popolo inerme. Ovvio che, prima o poi oltre ai cittadini angariati, ti ritrovi un magistrato che s’incazzi. E finalmente oggi, per la prima volta, negli uffici comunali s’individua il colpevole, e c’è qualcuno che può pagare. Forse. Anche se non è detto. Confesso di essere inopinatamente inserito in una sorta di black list del Comune di Milano come «frequente violatore e frequente ricorrente», a detta di amici consiglieri comunali. Il mio avvocato, Stefano Manfredi, oramai sta consumando da anni, a colpi di ricorsi (sempre accolti), la sua esistenza nella lotta alla cartella selvaggia che varia da finti transiti e violazioni ai falsi accertamenti di divieti di sosta in zone di Milano che neppure conosco.
 


L’AVVOCATO INVECCHIATO
Stefano è invecchiato precocemente, le rughe sotto gli occhi gli s’ allargano come strisce pedonali, sua moglie lo vede solo la notte, dorme in studio. Ma ne ha fatta una questione di principio. E vinciamo i ricorsi al 95%. Soprattutto perché gran parte delle lettere minatorie in cui i Comuni ti intimano di pagare contravvenzioni che tu avresti fatto dai 3 ai 5 anni prima (fornire documentazione, please) sono prive di fondamento, mancano i termini e i riscontri e ti intimano di pagare una multe (indimostrabili) di dieci anni prima. «È come fermare uno per strada e accusarlo di omicidio, pretendendo che questi dimostri, così su due piedi, la sua innocenza», dice l’avvocato. Un atto che viola le più elementari norme del diritto. Tra l’altro i Comuni ora fingono di non vedere i ricorsi in atto, e affidano le multe ad agenzie di recupero credito che non attendono le sentenze dei giudici, tentano i blocchi bancari e perseguono i cittadini violando la legge di continuo. La soluzione oramai era una sola: la denuncia diretta per estorsione e stalking e falso ai capi degli uffici comunali competenti. L’idea di noi perseguitati era quella di querelare le persone fisiche, una a una: vigili, comandanti perfino sindaci che dovranno assumersi la loro responsabilità senza nascondersi dietro le istituzioni. La Procura di Padova ci ha anticipati... 

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